lunedì 26 dicembre 2011

Pantyhosed Strap-on

Eccovi un mio disegno sul tema Strap-on. E' uno dei mie temi preferiti e unisce a questo anche la mia passione per i collant.
In questo caso immaginatevi quanto può essere crudele un deep troath forzato ed eseguito con un fallo coperto dal ruvido tessuto dei collant :-) .



Cruel Heels

Ecco la collezione di miei disegni che ho intitolato "Cruel Heels". Sono immagini dedicate al calpestamento e in particolare all'uso dei tacchi a spillo per torturare lo schiavo. Lo ammetto, sono un po' estreme come lo sono in genere le mie fantasie.
Spero di ricevere i vostri commenti in merito.










mercoledì 30 novembre 2011

Educazione


Introduzione

Questa storia contiene violenza da parte di una donna matura su un giovane. E' un racconto Femdom non consensuale da intendersi come racconto di pura fantasia che nulla ha a che vedere con la realtà. 
Se non vi piacciono questo tipo di racconti non proseguite con la lettura.

Educazione

Il fischio del frustino sibilò nella stanza.
« … mmmfff... »
Il ragazzo legato prono sul letto urlò, ma attraverso il bavaglio a palla che gli dilatava dolorosamente le mandibole uscì solo un lamento soffocato. Le gambe e le braccia si tesero inutilmente, trattenute dalle corde che legavano polsi e caviglie agli angoli del letto. Una donna gli stava in piedi a fianco e lo colpiva mettendo tutta la propria energia in ogni colpo. Anche lei mugolava, ma di un misto di fatica e piacere.
« … 128 … 129 … 130! »
La donna poggiò il frustino e si chinò. Come aveva fino a li ripetuto ogni dieci frustate, afferrò le palle del ragazzo tra le gambe aperte e tirò con tutte le sue forze, strizzandole e torcendole più che poteva. Fu tale l'energia che il ragazzo venne sollevato completamente dal letto per diversi centimetri. Le urla soffocate di dolore accompagnarono l'espressione di pura sofferenza del povero ragazzo e quella di puro godimento della donna. Dopo circa un minuto di strizzate e strattoni la donna riprese il frustino e ricominciò a contare.
« 131 … 132 … 133 .. »
Ogni colpo segnava la tenera pelle del giovane. Ormai il sedere, una volta roseo, era completamente rosso e, in molti punti, sanguinante.
«139 … 140! »
Questa volta la donna si tolse una scarpa e, tenendola per la punta, cominciò a martellare il pene e i testicoli del ragazzo con il sottile tacco metallico. Nonostante i mugolii che, seppur soffocati dal bavaglio, non ponevano dubbi su quanto dolore provava il giovane, non c'era segno di pietà nella donna, ma solo di un grande godimento nell'infliggere il massimo dolore possibile. Al termine del minuto di “pausa” i testicoli e il pene sanguinavano, cosa che rese molto soddisfatta e ancora più eccitata la donna. Di nuovo iniziarono le frustate e il conteggio.
« … 149 … 150!! Finito, sei contento? »
La donna chiese ridendo del suo stesso sarcasmo. Poi riprese la scarpa e diede un'ultima, violenta, perversa serie di colpi sui genitali del ragazzo che si agitava cercando inutilmente di sfuggire al massacro dei suoi organi genitali. La donna continuò fino a quando il sottile tacco d'acciaio non ebbe aperto parecchie ferite sia sul piccolo pene moscio sia nel sacco scrotale. A questo punto si fermò, osservò per un istante il suo lavoro e, soddisfatta, si rimise la scarpa. Andò al comò e da un cassetto estrasse un grosso e lungo strap-on. Lasciò cadere la gonna e lo indossò sopra i collant che avrebbero così attenuato il piacere dello strusciare della cinghia sulla vagina facendolo durare il tutto più a lungo. Si diresse verso il ragazzo singhiozzante e gli sollevò la testa per i capelli in modo che il cazzone di gomma fosse a pochi centimetri dal suo viso. Non disse una parola, lo tenne solo li a fissare quell'attrezzo pauroso mentre lei lo lubrificava mimando una lenta masturbazione. Mentre eseguiva l'operazione muoveva i fianchi “fottendosi” la mano con ritmo crescente, gustandosi al contempo lo sguardo terrorizzato del ragazzo che ormai già immaginava il dolore che quell'affare gli avrebbe provocato. La donna, per accentuare il terrore del ragazzo gli anticipò quello che stava per fare.
« Lo vedi? Vedi quanto è grosso? Vedi quanto è lungo? Non riesco nemmeno ad afferrarlo tutto. Ma nonostante le dimensioni e nonostante il tuo culetto sia vergine... sto per infilartelo tutto dentro! O meglio... te lo sbatterò dentro. Sarà un vero godimento spaccarti il culo in due... Ti farò urlare... Ti inculerò così forte che cagherai sangue per una settimana...» mormorava eccitatissima la donna.
Il ragazzo sapeva di non aver scampo e fissava quel cazzo gigante muoversi aventi e indietro davanti ai suoi occhi sapendo che stava per distruggergli il culo. Poi la donna si mise sopra di lui a quattro zampe, l'enorme fallo pendeva dall'inguine di lei fino a toccare il letto tra le gambe di lui. Lei lo prese e lo incurvò per spingerlo tra le chiappe del giovane fino a posizionare la punta sullo sfintere. Tenendolo in posizione si chinò e mormorò:
« Sei pronta puttanella? Non ho intenzione di dare il tempo al tuo culetto di dilatarsi, quindi sarà doloroso, mooolto doloroso. »
Con un ghigno sadico sul viso la donna cominciò a spingere lo strap-on dentro il culo del ragazzo usando tutta la sua forza e il suo peso. Come aveva detto non intendeva andarci piano ma devastare quel culetto indifeso. Spinse quanto più poteva e quando la cappella di gomma fu dentro cominciò a dare dei tremendi colpi di reni per far penetrare tutto il resto della lunghezza di quel mostro. Il ragazzo urlava contro il bavaglio a pieni polmoni. Gli occhi strabuzzati in una espressione di puro dolore. Quando il fallo fu completamente dentro la donna cominciò una vera e propria cavalcata selvaggia. Non si muoveva solo avanti e indietro, ma reoteave il bacino cercando deliberatamente di spaccare quel culo ancora di più di quanto non avesse già fatto la dimensione del fallo. Dopo circa una ventina di minuti di atroce tortura la donna sentì l'orgasmo arrivare e, per l'ultimo minuto, accelerò il ritmo al massimo. Quando l'orgasmo fu passato si lasciò andare sopra il ragazzo che aveva bagnato di lacrime tutto il cuscino e riempito di sangue il lenzuolo. Stette li ferma per un paio di minuti prima di risollevarsi. Quando il fallo gigante fuoriuscì dall'ano del ragazzo fu seguito da un fiotto di sangue. La donna andò a sedersi sul cuscino di fronte al viso del giovane, gli tolse il bavaglio, gli sollevò la testa per i capelli e gli pose il cazzone sporco di sangue e feci davanti alla bocca.
« Puliscilo! » intimò.
« Puliscilo tutto o ricomincio daccapo. »
Il ragazzo fece quanto richiesto trattenendo a stento i conati di vomito per il disgusto. Quando ebbe finito la donna si alzò, si tolse lo strap-on che buttò a terra e uscì dalla stanza. Dopo circa una ventina di minuti tornò, completamente nuda e visibilmente rilassata dopo una doccia rigenerante.
La donna gli si avvicinò, si sedette sul cuscino a gambe larghe posizionando la fica sotto il naso del ragazzo.
« Annusa la mia fica, sentine l'aroma pungente. Ho appena pisciato, sentine la fragranza. »
Allungò le gambe sulle spalle del ragazzo avvolgendogli la testa nella carne morbida, unì le caviglie e strinse un po', quanto bastava per impedire al ragazzo di girare le testa e costringerlo così a respirare tra i peli della sua fica. Era uno dei modi che la donna usava per dimostrare la sua superiorità e la sudditanza di chi finiva tra le sue grinfie. Mentre il ragazzo inalava odore di orina e succhi orgasmici la donna lo istruì su ciò che sarebbe avvenuto dopo questo loro primo incontro.
« Ora tu vai a casa e non dici una parola su tutto quello che è successo qui. Ricordati che i tuoi genitori lavorano nella mia scuola e se voglio posso licenziare entrambi. Ho indagato sui tuoi e ho scoperto che hanno un mutuo da pagare e ce la fanno appena. Quindi d'ora in poi non sarà necessario che io ti droghi e ti leghi mentre sei incosciente come ho fatto oggi. Tu dirai ai tuoi che vieni a casa mia per lezioni di ripetizione due volte la settimana, lezioni che mi pagherai con tutti i soldi che ti danno i tuoi. Qui tu sarai mio schiavo e ubbidirai a qualsiasi mio ordine, anche se non che ce ne saranno molti perché più che altro mi divertirò a torturarti come e peggio di oggi. Se non lo farai la tua famiglia finirà sul lastrico. I tuoi fratellini più piccoli finiranno in un istituto perché i tuoi non potranno mantenerli. Oh... guarda caso oltre che la direttrice del tuo liceo sono anche la direttrice dell'unico istituto in cui potrebbero venire accolti. Tu non vuoi che i tuoi fratellini finiscano per sempre nelle mie mani, vero? »
Il ragazzo si mise a piangere e tra i singhiozzi riuscì a mormorare un « No, Signora. »
« Bene. Allora ci rivediamo qui a casa mia tra tre giorni per la tua, ora abituale, “ripetizione”. Questa notte cerca di studiare perché domani ti interrogo e sarò di manica molto stretta con te d'ora in poi. Naturalmente ogni voto in meno del massimo sarà motivo di ulteriori torture quando sarai qui. Ah... ora che mi ricordo. Sabato voglio che vieni con me a fare shopping. Ho visto delle scarpe fantastiche in una vetrina in centro. Punta affusolata e tacchi come punteruoli, non vedo l'ora di usarle su di te. Naturalmente ricordati di portare tutta la tua paghetta del mese. Se sarà più del necessario mi terrò il resto ma se non basta prenderai dieci frustate extra per ogni euro che mi farai spendere. »
La direttrice tolse il piede dal volto del suo allievo.
« Ora vattene, schiavo. E non lamentarti troppo perché la prossima volta sarà peggio. »
Un'altra risata crudele riempì la casa. Mentre il liceale si rialzava a fatica e si dirigeva verso l'ingresso, la direttrice tornò a correggere i compiti della sua classe senza badare più all'ultimo di una lunga serie di ragazzi passati dalle sue grinfie sadiche. Un sorriso soddisfatto le passò sulle labbra mentre affibbiava un'insufficienza grave proprio a quello stesso ragazzo che aveva appena finito di torturare. Un'insufficienza che naturalmente non meritava affatto. Se quel vermicello sperava di essere promosso ed uscire così dai suoi artigli si sbagliava si grosso. Un'altra risata sadica uscì dalle labbra dell'infernale direttrice.

Fine

Maurizio Wylder

martedì 29 novembre 2011

Il posto sbagliato e il momento sbagliato - Parte 6


Avviso:
Questa storia contiene violenza estrema da parte di una donna su un uomo, se questo genere vi da fastidio o semplicemente non vi piace non proseguite con la lettura!



Capitolo 6

Angela prese dal tavolo una sigaretta e l'accendino e, mentre l'accendeva, si avvicinò all'uomo a terra che, nel vederla avvicinarsi, strisciava all'indietro terrorizzato.
« Ti è piaciuto lo spettacolo? Spero di sì perché lo proverai anche tu. Ma non ora, non oggi. Domani risparmierò quella zoccola e ti farò provare com'è essere al suo posto su quel cavalletto. Sei contento verme? »
Giovanni scosse la testa.
« N..no la p..prego. Sono ver...vergine, n...non potrei sopportare... »
« Vergine? Mmmm... fantastico adoro sfondare i culi vergini con quel bel cazzone. L'ultimo vergine che ho avuto è svenuto mentre l'inculavo, una vera rottura. Ho dovuto usare i sali per farlo rinvenire prima di continuare. Ma non ti preoccupare, a te darò degli stimolanti che eviteranno il problema. »
Una risata crudele invase la stanza quando Angela vide la faccia incredula e terrorizzata del verme che la fissava con la bocca spalancata. E il bello era che ciò che aveva detto era tutto vero, tutto senza eccezioni. Angela si accovacciò poggiando le braccia sulle ginocchia coperte dagli stivali e tirò una boccata dalla sigaretta.
« Sei contento che ti tratto con così tanto riguardo rispetto agli altri? »
Di nuovo la risata crudele.
« Povero. Non sai in cosa ti sei cacciato. »
Continuando a sorridere soffiò sulla punta accesa della sigaretta e poi la spense sulla guancia del verme che urlò prima di sorpresa e poi di dolore.
« Sei un bel giocattolo, credo che finirò col non lasciarti più andare. Godo troppo con te. »
Detto questo riaccese la sigaretta per poi spegnerla di nuovo vicino alla prima bruciatura. Di nuovo le urla di Giovanni riempirono la stanza unite alle implorazioni di pietà. Ad un tratto si udì il telefono squillare.
« Porca puttana! Odio quando mi telefonano mentre mi sto divertendo. E la stronza di cameriera è pure qui e non può rispondere. Uffa, dovrò andarci io. » Disse Angela scocciatissima.
Si alzò e sorridendo al verme a terra gli rifilò l'ennesimo calcio di punta nelle costole.
« Non ti preoccupare che tanto torno subito. » disse, e si allontanò ridendo.
Angela risalì le scale velocemente e rispose al telefono.
« Le chiedo perdono Mistress Pain. Ho avuto un problema con la macchina, non è colpa mia. Mi scusi, mi scusi, mi scusi. » disse una voce implorante.
« Ma chi cazzo sei? » chiese Angela irritata da quella voce.
« Sono lo schiavo che doveva rapire oggi. Ho avuto un problema all'auto e ho ritardato ma le giuro che non potevo prevederlo. La supplico mi perdoni, mi dia una seconda possibilità. »
All'improvviso la verità colpì Angela come un macigno. Aveva rapito una persona inconsapevole, un emerito sconosciuto. E non solo lo aveva rapito ma lo aveva pure torturato brutalmente. “Cazzo, qui finisco in galera.” pensò preoccupata mentre attaccava il telefono in faccia al deficiente che l'aveva messa in quel casino. Cercò di rianalizzare la situazione e così fu colpita da una nuova folgorazione. Le vennero in mente i pestaggi e le torture a cui aveva sottoposto quel poveretto. Un innocente che non provava nessun piacere nel dolore e nell'umiliazione. Roba che avrebbe fatto scappare qualsiasi masochista volontario. L'orgasmo fu pressoché immediato. Un orgasmo potente, come mai ne aveva provati prima. Le gambe le cedettero e si dovette accasciare a terra. Mugolò roteando gli occhi all'indietro e presa da una frenesia incontenibile scostò il cavallo del body e iniziò a masturbarsi attraverso il collant. L'orgasmo fu vulcanico ed interminabile, dopodiché Angela restò stesa a terra, sfinita, ansimante. Le ci vollero diversi minuti prima di riprendersi. Il suo desiderio, la sua fantasia più estrema si era realizzata a sua insaputa. Aveva torturato un'innocente inerme che non aveva tratto nessun piacere da tutto quello che gli aveva fatto, ma solo dolore e terrore veri. Ripensandoci si sentì eccitare di nuovo. Ricominciò a toccarsi e in pochi minuti venne di nuovo con un secondo potente orgasmo. Quando riuscì a risollevarsi, nonostante le gambe che tremavano, cominciò seriamente a pensare al problema. Doveva trovare una soluzione se non voleva finire in galera per un numero di anni incredibilmente lungo. Cercò una via di fuga, ma per quanto si sforzasse non trovava un'idea che le risparmiasse un processo e la galera. Poi una strana idea le cominciò a balenare nella testa. Tutto sommato nessuno l'aveva vista rapire quell'uomo, di questo era sicura. Prima di abbordarlo per strada si era assicurata che non ci fosse nessuno. Inoltre l'incontro non era programmato e quindi nessuno poteva mettere lei e quell'uomo in relazione. Ecco la soluzione, farlo sparire del tutto e nessuno l'avrebbe mai individuata. Poi un venne colpita da un fulmine a ciel sereno. La zoccola! La sua cameriera l'aveva visto e poteva identificarlo e metterla in relazione con lui. Ma forse no, rifletté. Doveva verificare, forse non l'aveva potuto vedere bene, forse nemmeno l'aveva degnato di uno sguardo. Tornò di corsa nel seminterrato, volando nonostante i tacchi altissimi. Prima di rientrare si diede un contegno e, calma, aprì la porta. Si diresse immediatamente verso il tavolo, prese un cappuccio di pelle, un bavaglio e una mascherina, quindi si diresse verso il verme sconosciuto. Senza dire nulla gli cacciò sulla testa il cappuccio nascondendone il volto, quindi gli tappò la bocca cacciandogli dentro a forza il bavaglio fallico che allacciò ben stretto dietro la testa e gli mise la maschera sugli occhi coprendoli completamente. Completato il lavoro si alzò e ripensò al fatto che quello a terra era una vittima non volontaria che non provava nessun piacere in questi trattamenti. Sorrise di nuovo eccitata e iniziò ad affibbiargli una serie di poderosi calci. Sapere che stava pestando un uomo che provava solo dolore e nessun piacere la condusse di nuovo ad un orgasmo quasi immediato. In fondo era il suo sogno erotico da sempre e realizzarlo stava scatenando tutto il suo sadismo represso da anni e anni di limiti e safe-word. Appena si fu ripresa tornò dallo schiavo cameriera. Era ancora spossato dal trattamento ricevuto e cercava di rilassarsi sul cavalletto nonostante fosse tutt'altro che comodo. Angela lo prese per i capelli e gli sollevò la testa.
« Ora voglio fare un giochino nuovo, troietta. Voglio vedere se sei attenta ai gusti della tua Padrona. Lo vedi quello schiavo li, con il cappuccio? Ora dovrai descrivermi il suo volto nei minimi dettagli. Per ogni errore verrai frustata e ogni volta raddoppierò il numero delle frustate precedenti. Il primo errore ti costerà cinque frustate, poi dieci, poi venti, poi quaranta e così via. Dovrai dirmi di che colore ha gli occhi, i capelli, la forma del viso, delle labbra, del naso. Hai capito puttana? »
Angela sembrava fredda e dura come al solito, ma dentro di se era preoccupatissima che quella troia avesse visto bene il poveraccio sul pavimento. Tolse il bavaglio a dildo dalla bocca dello schiavo dal quale colò saliva a terra. Appena ebbe fatto lo schiavo tossì ripetutamente e appena poté iniziò ad implorare pietà.
« Mistress la prego, non sapere com'è quello schiavo, non lo so come è fatto. Io avevo lo sguardo sui suoi talloni mentre entravo qui, non l'ho mai guardato quello, come faccio a descriverlo? La supplico, mi frusterà a morte se mi sottopone a questa prova. Non posso farcela. »
Angela era al settimo cielo, sembrava proprio che la troia non avesse degnato di uno sguardo l'altro verme, era letteralmente terrorizzata. Comunque volle metterla alla prova.
« Non me ne fotte nulla, peggio per te se non l'hai guardato. Ora iniziamo dalle cose semplici. Colore dei capelli?»
« Non lo so Mistress, non lo so... La supplico mi perdoni. » implorò ancora lo schiavo.
« Non lo so “un cazzo”! Primo errore.» disse Angela che iniziò ad affibbiare le prime cinque frustate, lente, cadenzate, tremende.
Lo schiavo urlava con tutta la voce ma lei continuava imperterrita. Quando ebbe dato la quinta chiese di nuovo:
« Colore dei capelli? »
Sembrava una maestra severa. Lo schiavo singhiozzò e ripeté di non saperlo. Angela sempre più gongolante dentro di se riprese a frustare il poveraccio. Altre dieci frustate vennero inferte alla schiena dell'uomo a piena forza.
« Proviamo qualcosa d'altro allora. Colore degli occhi? »
Lo schiavo piangeva ora a dirotto.
« Non lo so Padrona, non l'ho guardato. La supplico mi lasci andare. »
Angela riprese a frustare felice come una pasqua. Altre venti frustate andarono a segno e la schiena dello schiavo ormai era tutto un intreccio di strisce rosse, molte delle quali sanguinanti.
« Aveva la barba? » chiese di nuovo Angela.
« Si, si... aveva la barba Padrona. » tirò ad indovinare lo schiavo in lacrime.
Questo errore finalmente diede la sicurezza ad Angela che lo schiavo non aveva proprio fatto nessun caso all'uomo a terra. Altrimenti non avrebbe mai sbagliato quella risposta. Ma per inquinare le acque chiese.
« Finalmente , bravo. E di che colore era la barba? »
« Nera. » tirò di nuovo a indovinare lo schiavo sperando di scamparla.
« Sbagliato! » Angela rise ormai rilassata stava godendosi il nuovo gioco.
Le quaranta frustate arrivarono sulla schiena dello schiavo inesorabili. Ne seguirono altre ottanta. Quando Angela iniziò le centosessanta successive lo schiavo cedette. Con un fil di voce pronunciò la safe-word. Era allo stremo, la schiena coperta di sangue, la gola riarsa dalle urla, gli occhi rigonfi per il pianto. Prima di fermarsi Angela gli diede ancora una decina di frustate. Non si fermava mai immediatamente alla safe-word, erano quelli i momenti più piacevoli del suo lavoro. Quando torturava gli schiavi oltre il limite della loro sopportazione. Quando era sicura che loro non provavano più nessun piacere. Smesso di frustarlo gli liberò mani e piedi e lo lasciò cadere a terra come un sacco di patate.
« Sei un buono a nulla schiavo. Non reggi nemmeno qualche frustatina. Vai di sopra, fatti una doccia e sparisci dalla mia vista. Non tornare domani, ti chiamerò io quando e se vorrò che tu torni. Sono stata chiara? »
Lo schiavo a terra rispose con un sibilo ed annuendo leggermente con la testa.
« Bravo. Ora vattene. »
Angela lo spronò con un calcio nel culo ben assestato, quindi lo guardò trascinarsi verso la porta. Lo seguì e quando fu uscito chiuse a chiave la pesante porta insonorizzata. Tornò lentamente verso il verme a terra. Si gustò la scena dei muscoli dell'uomo tendersi per la paura. Gli strappò via il cappuccio e lo guardò dall'alto incrociando le braccia.
« E così tu non sei quella merda di schiavo che dovevo rapire. Come ti chiami? »
Giovanni non rispose, cercava di capire cosa stava dicendo quella tigre che troneggiava su di lui e che lo terrorizzava. Angela gli sferrò un calcio nelle costole.
« Chi cazzo sei? Parla! »
« Mi chiamo Giovanni Bianchi, sono un semplice impiegato. Sono solo, nessuno può pagare un riscatto per me. La prego mi lasci andare. »
« Nessuno? Nessun parente o amico? »
Chiese Angela interessata.
« No signora. I miei sono morti e non ho altri parenti. Nessun amico che potrebbe o vorrebbe pagare per me. Non ha motivo di tenermi qui, mi lasci andare. Le giuro che non parlerò con la polizia. Non dirò nulla. »
Giovanni non credeva che le sue parole potessero funzionare, ma doveva provare. Sentiva l'esigenza fisica di tentare qualsiasi cosa per venire fuori da quell'inferno il cui unico diavolo aveva una faccia angelica dall'espressione perversa. Angela invece si sentiva euforica e scoppiò in una risata. Non solo non era stata vista, ma un uomo con pochi legami avrebbe scatenato meno putiferio che uno con famiglia. Non trovando nessun cadavere e senza motivazioni per pensare diversamente la gente e, sopratutto la polizia, avrebbe potuto anche pensare ad una scomparsa volontaria.
« Dove dovevi andare quando ti ho prelevato? »
« Avevo un appuntamento con una ragazza in un posto li vicino. »
“Cazzo, questo non va bene.” pensò Angela.
« State assieme? »
« No, era la prima volta che ci uscivo. »
Angela rifletté un attimo e le venne un'idea luminosa. Si allontanò e tornò poco dopo con il cellulare dell'uomo e la pistola che aveva usato durante il rapimento. Porse il telefono all'uomo. E gli puntò la pistola in faccia.
« Ora chiami la tua troietta e gli chiedi perdono. Poi le dici che hai deciso di sparire perché non sopporti più la vita che fai. Dovrai ripetere esattamente queste parole: perdonami se non sono venuto questa sera, ma ho deciso di abbandonare tutto perché la mia vita mi fa schifo. Poi riattacchi. Se dici qualcosa di diverso o provi a dire altro ti ammazzo li dove sei hai capito? »
« Si signora. »
Angela colpì l'uomo con un manrovescio armato di pistola spedendolo a terra con un labbro spaccato.
« D'ora in avanti mi devi chiamare Padrona. Ai capito stronzo? »
Un altro calcio sottolineò le parole appena pronunciate.
« Si Padrona. » balbettò l'uomo.
« Bene, ripeti quello che devi dire al telefono. »
Giovanni ripeté ma non usò le stesse identiche parole e pagò con un altro calcio.
« Cretino! Usa le mie parole. Ripeti! »
Intontito dal dolore e dal terrore Giovanni impiegò diversi tentativi per imparare la frase alla perfezione.
« Ora telefona. Ma ricordati, una parola sbagliata e sei morto. »
La pistola era innocua ma faceva il suo effetto e Giovanni eseguì il compito alla perfezione chiudendo poi il telefono in faccia ad una ragazza stupita e preoccupata dalle parole che aveva sentito. Angela prese quindi il telefono, gli tolse la batteria e lo distrusse sotto il tacco.
« Molto bene. Ora non ti cercherà più nessuno. Se non l'hai ancora capito sei appena diventato il mio primo vero schiavo. Nessuno ti libererà mai. Sarai mio per il resto della vita. Sarai il mio giocattolo, e io i giocattoli mi diverto a romperli. »
Una risata sadica accompagnò l'espressione basita, incredula dell'uomo.
« Quando mi sarò stancata di te potrò pure ucciderti perché nessuno si accorgerà che sarai sparito, perché tu sei già sparito. »
Un'altra risata sottolineò l'espressione ora terrorizzata di Giovanni. Quando Angela smise di ridere riprese a parlare.
« Non mi ricordo più come ti chiami, ma non importa. D'ora in poi ti chiamerò schiavo o verme o in qualsiasi altro modo mi verrà in mente. Tu dovrai ubbidire ad ogni ordine pena torture che ti faranno rimpiangere quelle di oggi. Che ti faranno rimpiangere di essere nato. Non temere, non ti ucciderò, o almeno non presto. Ma ti assicuro che dopo un po' pregerai che la fine arrivi presto. Non sai quanto mi divertirò con te. Ma tu dovrai sempre ringraziarmi, altrimenti sarà peggio. Ricordati, grato per le mie “attenzioni” o subirai l'inferno. »
Angela si avvicinò al viso dell'uomo da cui colavano lacrime silenziose.
« Vediamo se hai capito. Ringraziami per averti torturato così blandamente, per averti reso mio schiavo a vita e per le tue future giornate di pena e dolore. Dì grazie e baciami gli stivali. »
Giovanni ormai piegato si mise prono e baciò gli stivali della sua nuova Padrona.
« Grazie Padrona. »
« Prego schiavo. »
Angela prese manette e catene e le mise al suo primo vero schiavo “no limit”. Mentre lo legava pensava già a cosa gli avrebbe fatto e la fica gli si bagnò di nuovo di eccitazione. Quando lo schiavo fu completamente immobilizzato si sollevò, si voltò e andò verso la porta. Prima di chiudersela alle spalle si guardò Giovanni nella posizione assurda in cui lo aveva bloccato.
« Ti prometto che domani ci divertiremo tutto il giorno. Buona notte e incubi d'oro. »
Angela uscì e chiuse a chiave quella che ora era divenuta la nuova “casa” di Giovanni.


Fine?
Fatemi sapere se volete che questa storia continui :)


Maurizio Wylder


lunedì 7 novembre 2011

Il posto sbagliato e il momento sbagliato - Parte 5

Avviso:
Questa storia contiene violenza estrema da parte di una donna su un uomo, se questo genere vi da fastidio o semplicemente non vi piace non proseguite con la lettura!



Capitolo 5

Angela si stava divertendo punendo il suo schiavo/cameriera per la camicetta che lei stessa aveva fatto cadere a terra poco tempo prima. Aveva approfittato dello svenimento del verme per verificare se la “puttana”, come lei chiamava il suo schiavo cameriera, fosse arrivata e avesse iniziato il lavoro. Come sempre l'aveva trovata diligente all'opera e, come sempre, aveva iniziato ad insultarla e denigrare il lavoro svolto.
« Finalmente sei arrivata! Sempre in ritardo, non sei altro che una puttana buona a nulla. »
« Ma Padrona... »
Un manrovescio colpì lo schiavo in bocca.
« Zitta troia! Seguimi. »
Angela si diresse alla cabina armadio dove l'aspettava la camicetta di seta a terra. La indicò allo schiavo.
« Guarda cosa hai fatto puttana. Sai cosa ti aspetta per questo vero? »
Lo schiavo guardò spaventato la camicetta. Sapeva che quando Mistress Pain faceva questi “scherzi” significava solo che era in vena di punizioni pesanti. Si gettò in ginocchio e iniziò a baciare gli stivali della Padrona cercando di evitare il peggio.
« La prego Padrona, non succederà più. Glielo prom... »
Un urlo di dolore riempì la cabina armadio mentre Angela premeva con tutto il peso il sottilissimo tacco sul dorso della mano dello schiavo.
« Puttana, ti ho detto per caso di smettere di baciarmi gli stivali? »
Con le lacrime agli occhi per il dolore e i denti stretti per non urlare lo schiavo ricominciò a baciare gli stivali della Padrona. Con un sorriso soddisfatto e crudele Angela sollevò di qualche centimetro da terra l'altro tacco.
« Sai cosa devi fare, vero puttana? »
Lo schiavo era terrorizzato dalla richiesta ma sapeva bene che non ubbidire sarebbe stato molto peggio. Molto, molto peggio. Raccogliendo tutta la forza di volontà portò l'altra mano sotto il tacco sollevato. Appena fu in posizione Angela conficcò il secondo aguzzo tacco nella mano dello schiavo che urlò di nuovo. Non contenta cominciò a ruotarlo cercando deliberatamente di forare la pelle. Non le ci volle molto per riuscirci e quando vide il sangue uscire da sotto il suo tacco ripeté la stessa operazione sull'altra mano. Quando ebbe finito si incamminò verso la cantina senza badare allo schiavo che si lamentava tenendosi le mani.
« Seguimi puttana. »
Disse senza voltarsi, sicura che lo schiavo l'avrebbe seguita di corsa pur di non rischiare un'altra punizione. I suoi schiavi erano tutti delle pain-slut ma erano terrorizzati dal lei perché li portava sempre al limite di sopportazione e spesso andava oltre. Non le fregava nulla dei loro limiti, se non gli stava bene potevano non tornare. Dopo la prima sessione tornare significava accettare qualsiasi punizione senza più limiti.
Entrata nella sala delle torture gettò un'occhiata al verme e vide che era ancora svenuto. Bene così per adesso. Si voltò e la “puttana” era li dietro di lei in ginocchio. Non aveva avuto dubbi su questo.
« Vai al tavolo, prendimi lo strap-on più grosso, poi torna qui e mettimelo. Ho voglia di sbatterti a dovere. »
Lo schiavo provò un fremito di paura. Lo conosceva quello strap-on. Non era possibile essere abbastanza allenati e dilatati per riuscire a prenderlo nel culo a “freddo” senza sentirsi spaccare in due. E naturalmente era per quello che era il preferito da Angela che ben si guardava dall'usare metodi progressivi di dilatazione. Nonostante tutto però partì velocissimo per eseguire l'ordine. Lo prese e tornò a inginocchiarsi davanti alla sua Dea per indossarglielo. Tenne le cinghie aperte mentre la Padrona infilava il piede nella prima cinghia già chiusa e regolata. Poi lo fece scorrere lungo la gamba e, inevitabilmente le sue dita sfiorarono la coscia della donna sentendo l'eccitante tessuto dei costosi collant, immediatamente il cazzo dello schiavo scattò sull'attenti. Angela non disse nulla, infondo si vestiva così proprio per accontentare i suoi schiavi ed era giusto che un filino di piacere lo provassero anche loro. Anzi, in vena di bontà si girò di spalle ponendo il magnifico culo velato di nero a pochi centimetri dagli occhi dello schiavo.
« Puttana, controlla che la cinghia mi passi bene tra le chiappe e poi baciamele. »
Eccitato al massimo, con il cazzo che scoppiava, lo schiavo ubbidì beandosi del contatto caldo, morbido e setoso.
« Ora baciami il buco del culo, lurida zoccola. »
Angela sporse indietro il culo spingendolo contro il viso dello schiavo, avvolgendolo tra le chiappe. Lo schiavo era in estasi mentre spingeva il viso in quel paradiso per baciare il buco del culo della sua adorata quanto terribile Padrona. O per lo meno per baciare la cinghia dello strap-on li dove passava sopra il latex, il collant e solo sotto i tre strati l'agognato e delizioso buchetto. Angela lo lasciò fare per qualche decina di secondi poi si voltò e guardò soddisfatta il cazzo duro come il ferro del suo schiavo che sollevava il microscopico vestitino da cameriera zoccola.
« E questo cos'è? »
Chiese toccando il cazzo dello schiavo con la punta dello stivale.
« Come ti permetti di avere un'erezione in mia presenza? Lo sai che ti è vietato. Ma non ti preoccupare ora ci penso io. »
Detto questo Angela sferrò un potente calcio nei testicoli allo schiavo, seguito da un altro e un altro. Lo schiavo urlò per il dolore tremendo ma non osava sottrarsi alla punizione. Angela continuò tra le urla dello schiavo fino a quando il cazzo, prima durissimo, non si fu completamente ammosciato. Si fermò e lo guardò sorridente accasciarsi a terra mugolante di dolore.
« Così va meglio non trovi? »
Non ottenne risposta così gli sferrò un calcio di punta dritto nelle costole.
« Oh detto “Va meglio non trovi?” »
Ripeté con tono che pretendeva una risposta.
« S...i Padrona, molto meglio grazie. »
« Felice di essere utile. »
Angela sorrise “gentile” allo schiavo.
« Ora piantala di poltrire li a terra e vai a metterti in posizione sul cavalletto troia. »
E per dare enfasi al comando gli tirò un altro calcio. Lo schiavo si alzò più in fretta che poté e andò a mettersi piegato in due sul cavalletto. Angela gli legò le caviglie e i polsi alle gambe del cavalletto e poi prese dal tavolo un bavaglio formato da un dildo alla base del quale erano agganciate delle cinghie. Sollevò la testa dello schiavo per i capelli e gli spinse il lungo dildo in gola con molto poco riguardo. Un tubicino che correva all'interno del dildo per tutta la lunghezza consentiva allo schiavo di respirare.
« Sei proprio una puttana succhia-cazzi vero? »
Disse Angela mentre gli legava le cinghie del dildo dietro la nuca.
« Con questo non sarò costretta a sentire i tuoi mugolii di “piacere” mentre ti rompo il culo, vero puttana? »
Lo schiavo la vide allontanarsi e poco dopo sentì che gli afferrava i testicoli. Se li sentì legare e poi li sentì tirare molto forte verso il basso. Mugolò per il dolore lancinante.
« Un paio di chili basteranno per tenerti sveglio mentre ti apro il culo? Mmm... No meglio aggiungerne un altro paio. »
Lo schiavo sentì le palle tirare ancora più forte. Si agitò tirando contro le corde ma non cera verso di muoversi. Poteva solo restare li e subire ogni cosa. Angela prese del lubrificante a base d'acqua e posizionatasi davanti al volto dello schiavo cominciò a lubrificare il cazzone nero e gigantesco con gesti simili ad una oscena masturbazione.
« Guarda che bel cazzo ha la tua Padrona, puttana. Non sei contenta? E' grosso quanto il mio avambraccio e sto per ficcartelo tutto nel culo senza pietà, proprio come piace a te. Non è vero? »
Lo schiavo scosse la testa negando e implorando con lo sguardo di non farlo.
« Ah... vedi che ammetti che lo vuoi. Ci avrei scommesso. Ma certo, sono qui per dare alla mia puttana tutto quello che vuole. Te lo ficco dentro fino all'ultimo centimetro, non ti preoccupare. Vuoi che ci vada piano o preferisci essere sbattuta selvaggiamente? »
Lo schiavo spalancò gli occhi. Era stato già sbattuto molte volte anche con quel cazzone ma mai brutalmente da subito. Conosceva bene la Mistress e sapeva che qualsiasi segno di risposta non avrebbe cambiato nulla. Spaventato cominciò ad agitarsi, a scuotere la testa freneticamente e chiedere pietà con mugolii imploranti.
« Ah... Vuoi che ti sfondi selvaggiamente come da quella puttana troia rotta in culo che sei. Ma certo, come vuoi tu. »
Come volevasi dimostrare Angela aveva ignorato le silenziose ma chiare implorazioni dello schiavo. Si spostò dietro lo schiavo, gli appoggiò la punta ben lubrificata del suo cazzo gigante sul buco del culo e senza porre tempo in mezzo cominciò a spingere con tutto il suo peso per forzare lo sfintere. Lo schiavo avrebbe urlato con tutto il fiato se avesse potuto. Con gli occhi spalancati per il dolore cercava di sottrarsi, ma legato com'era non poteva muoversi se non di pochi millimetri. Angela, eccitatissima dal dolore causato, vedeva l'enorme glande di gomma aprirsi la strada nel culo dello schiavo spinto da tutta la sua forza. Quando finalmente la punta fu dentro prese lo schiavo per i fianchi e con un colpo di reni gli infilò piò di metà cazzo nel culo. Lo estrasse quasi tutto e poi un altro colpo. Poi un terzo e un quarto e fu tutto dentro. Si fermò lasciando “gustare” allo schiavo la sensazione di dolore acuto, dilatazione e impotenza, poi iniziò a stantuffare l'enorme cazzo con poderosi colpi, senza dare nessun tempo al culetto dello schiavo di dilatarsi e abituarsi per quanto possibile all'ospite indesiderato. Lei non inculava mai per dar piacere allo schiavo ma per farlo soffrire il più possibile.
Più il cazzo andava e veniva nel culo più la dilatazione rendeva l'operazione facile. E più era facile e più Angela accelerava e aumentava il vigore nei colpi. Per lo schiavo non vi era diminuzione del dolore. Il dolore allo sfintere che diminuiva man mano che si rilassava veniva sostituito dal dolore della punta del cazzo che gli picchiava a viva forza nelle budella sempre più forte e rapido.
« Tieni troia! Ti piace? Senti come ti sfondo per bene. Te lo faccio arrivare in gola questo cazzo. »
L'interno delle cosce dello schiavo era rigato dal sangue che colava dal buco del culo strappato. Dopo parecchi minuti di cavalcata selvaggia Angela si fermò per riprendere fiato. Ma non volendo dare tregua allo schiavo cominciò a estrargli lentamente il cazzone dal culo per poi schiantarlo di nuovo dentro in un colpo secco. Il movimento dal ritmo lento le consentiva di riposarsi ma la penetrazione dell'intera lunghezza dello strap-on inferta con sol un colpo causava fitte tremende nella pancia dello schiavo. Le urla dello schiavo trasformate in flebili mugolii dal dildo che aveva in gola arrivavano chiare all'orecchio di Giovanni che si era ripreso dallo svenimento e guardava sgomento. Dopo un paio di minuti Angela ripartì a ritmo sfrenato avvicinandosi sempre più all'orgasmo aiutata dalla cinghia dello strap-on che le passava sull'inguine e le massaggiava la fica ad ogni suo movimento. In quel momento non le fregava assolutamente nulla dello schiavo, avrebbe potuto schiattare e non si sarebbe accorta e tanto meno fermata. L'unica cosa che le importava era il suo godimento dato dalla sua stessa gratuita violenza. Continuò più forte che poté fino a quando l'orgasmo arrivò facendola urlare di piacere. Continuò a muoversi per tutta la durata dell'orgasmo, poi si fermò e si appoggiò sfinita sulla schiena dello schiavo. Quando si fu ripresa dallo sforzo si risollevò e, senza sfilare il cazzo dal culo dello schiavo, iniziò a slacciarsi le cinghie dello strap-on.
« Sei proprio una gran puttana. Spero ti sia piaciuto come è piaciuto a me. »
Una volta libera dallo strap-on lo prese con entrambe le mani, lo sfilò quasi completamente per poi ricacciarlo dentro con tutte le sue forze. Lo schiavo lanciò un ultimo urlo soffocato e quasi svenne. Angela lo guardò soddisfatta e si voltò verso il verme a terra notando che si era risvegliato.

Il posto sbagliato e il momento sbagliato - Parte 4

Avviso:
Questa storia contiene violenza estrema da parte di una donna su un uomo, se questo genere vi da fastidio o semplicemente non vi piace non proseguite con la lettura!



Capitolo 4

« Bene, vediamo se hai imparato la lezione. »
Disse Angela accavallando le gambe.
« Avvicinati ma senza alzare la faccia dal pavimento. Striscia come un verme. Bravo, così. Infila la faccia sotto il mio piede e inizia a leccare la suola. Fallo per bene o te ne faccio pentire. »
Giovanni strisciò sotto il piede sollevato. Quando fu sotto guardò la suola e notò che era tutt'altro che nuova e tanto meno pulita. Erano stivali che avevano camminato molto e la suola sporca lo mostrava ampiamente. Giovanni non voleva però rischiare altre punizioni ed estrasse la lingua quanto più poté e la spinse bene contro la suola iniziando a leccare disgustato ma troppo spaventato per tirarsi indietro.
« Meglio che tu sia meno schizzinoso, perché questo è solo l'inizio. »
Disse Angela iniziando a spingere il lungo tacco dello stivale in bocca a Giovanni.
« Apri quella cazzo di bocca! Spalancala! Ecco così. »
Angela mosse lo stivale avanti e indietro nella bocca di Giovanni sfregando vigorosamente la punta del tacco sul palato del poveretto. Il tacco urtava ritmicamente l'ugola e Giovanni iniziò ad avere dei conati di vomito che cercava di trattenere come meglio poteva. Angela, ben cosciente di quel che faceva lo minacciò.
« Se osi vomitare prima ti faccio ripulire tutto con la lingua e poi ti ammazzo di botte. Tu ancora non sai quanto mi piace scatenarmi in un bel pestaggio come si deve. Vedi questi guanti? Immagina l'effetto sulla tua faccia se te la dovessi dovessi prendere a pugni. »
Angela si chinò a mostrare il pugno chiuso al “leccapiedi” facendogli notare bene le borchie sul dorso ed in particolare sulle nocche. Di nuovo stava dando allo schiavo il modo di tirarsi indietro ma nessun segnale di ritiro. Soddisfatta si risollevò e proseguì con il suo piano. Iniziò ad affondare con più vigore il tacco nella gola di Giovanni, spingendolo ogni volta il più a fondo possibile. Quando vide che il poveretto era al limite gli spinse tutto il tacco in bocca e mosse la punta in cerchio. In pochi secondi Giovanni raggiunse superò il limite di resistenza e vomitò. Angela fu pronta ed estrasse lo stivale prima che si sporcasse. Stette ferma a guardare il verme che vomitava anche l'anima, provando il piacere unico che le dava il perpetrare una crudeltà inutile e gratuita. Quando Giovanni finalmente smise di vomitare Angela gli parlò con voce gelida.
« Ti avevo avvisato. Ora pulirai tutto con la lingua e guai a te se ti fermi. Quando avrai finito inizierà la vera punizione. Che cazzo aspetti? Inizia a leccare! »
Angela si diresse alle fruste appese alla parete e prese una frusta da calesse, la prima parte di circa un metro era rigida mentre la seconda parte di circa un metro e mezzo era formata da una treccia di cuoio molto flessibile, la sua preferita e la più temuta dagli schiavi dopo la bull-whip. Era ormai chiaro che questo schiavo voleva il trattamento peggiore e lei glielo avrebbe dato. Mentre Giovanni cercava con disgusto di assolvere all'ordine, Angela andò a un paio di passi di distanza. Appena fu in posizione fece partire il primo colpo che sibilò nell'aria prima di abbattersi preciso al centro della schiena dell'uomo che l'arcuò di colpo urlando.
« Ti ho per caso ordinato di smettere di leccare, eh? Ti ho autorizzato a sollevare la faccia da terra? Ti sei appena guadagnato una punizione extra, così imparerai ad ubbidire. »
La frusta sibilò ancora colpendo Giovanni mentre stava abbassandosi per riprendere la schifosa incombenza. Il poveretto urlò e si arcuò all'indietro di nuovo. Angela sorrise soddisfatta.
« Altra punizione extra. Allora coglione lecca-pavimenti, non vuoi imparare? Peggio per te e meglio per me. »
Giovanni strinse i denti mentre tornava a leccare il pavimento. Questa volta fu pronto a ricevere i colpi e riuscì a non fermarsi. Portare a termine il compito però era altra cosa. Il disgusto lo fece vomitare di nuovo, Angela dentro di se gongolava.
« Che cazzo fai verme di merda? »
Cominciò a tempestare Giovanni di colpi inferti a viva forza. Il poveraccio si raggomitolò cercando di proteggersi come poteva urlando di dolore. Dopo un numero interminabile di colpi Angela si fermò ansimante, il braccio stanco per lo sforzo. Non avrebbe saputo dire quanti colpi aveva dato a quel verme ma erano tanti, veramente tanti. Il corpo di Giovanni era tutto rosso e in moti punti facevano capolino gocce di sangue. Non era stata una sequenza metodica e cadenzata ma un assalto brutale. Angela si andò a sedere per riposarsi, era stanca ma al contempo eccitata al massimo da quello schiavo che singhiozzava sul pavimento. “Che si sia dimenticato la safe-word? Beh... cazzi suoi.” pensò sorridendo tra se e se.
« Spero tu abbia capito a cosa vai incontro se mi fai incazzare. E sono stata ancora buona. Ora finisci quello che stavi facendo, e in fretta o mi incazzo di nuovo. »
Giovanni si trascinò sul pavimento e riprese il suo compito. Nonostante il disgusto riuscì a terminare il compito.
« E bravo il mio coglione, ora viene la punizione. »
Angela si alzò e si avvicinò all'uomo ancora disteso a terra.
« In ginocchio! »
Giovanni si mise in ginocchio e tenne lo sguardo basso sugli eccitanti quanto terrificanti stivali di quella donna spaventosa. Angela gli afferrò la testa e gli sparò una ginocchiata in pieno volto spedendolo di nuovo a terra.
« Ti ho per caso autorizzato a sdraiarti? Alzati immediatamente! »
Giovanni si risollevò in ginocchio. Questa volta Angela mise entrambe le mani dietro la testa di Giovanni afferrandolo bene per i capelli, quindi allungò lentamente la gamba all'indietro assaporando la faccia del verme che si accartocciava in un'espressione di paura e anticipazione del dolore. Si fermò con la gamba tesa all'indietro.
« Lo vedi il mio ginocchio? Sta per arrivare come un treno dritto sulla tua faccia. »
Angela si leccò il labbro superiore eccitata dalla paura del verme. Poi lanciò il ginocchio verso la faccia dello schiavo mentre con le mani tirava la testa verso di se. Ci mise tutta la propria forza e il rumore dell'impatto fu accompagnato da quello scrocchio del naso che si rompeva. Giovanni si piegò urlando di dolore. Il sangue cominciò a sgorgare dalle narici mentre Giovanni lottava inutilmente contro le manette per portarsi le mani al volto. Angela lo guardò soddisfatta dall'effetto del suo colpo. Si gustò la scena per qualche secondo, poi si chinò, afferrò il verme per i capelli e lo sollevò fino a guardarlo negli occhi colmi di lacrime di dolore.
« Lasciami guardare se ci sono danni. »
Disse con tono quasi amorevole e il viso preoccupato. Lentamente la sua espressione cambiò in un ghigno crudele.
« Si ci sono danni, ma non abbastanza per i miei gusti. »
Sollevò la mano e cominciò a tempestare la faccia di Giovanni con una serie di pugni al volto mentre lo teneva fermo e sollevato per i capelli con l'altra mano. Le borchie poste sulle nocche rendevano i forti colpi ancora più devastanti. Giovanni urlava e implorava pietà. Quando Angela si fermò la faccia di Giovanni ridotta come quella di un pugile alla fine di un incontro durissimo. Gli zigomi e le arcate sopraciliari presentavano tagli che colavano sangue sul resto del volto. Il resto della faccia era tumefatto e gonfio. L'uomo era quasi svenuto e stava dritto sorretto solo dal proprio scheletro e dall'equilibrio imposto dalla Mistress che continuava a tenerlo per i capelli. Angela approfittò della posizione favorevole, fece un passo indietro e gli sferrò un calcio nelle palle con tutta la forza. Giovanni smise di respirare e spalancò la bocca in un urlo silenzioso restando fermo e incapace di reagire. Notando che il verme non era ancora crollato a terra Angela ne approfittò per sferrare un secondo potentissimo calcio, e poi un terzo. Giovanni crollò a terra svenuto per il dolore.
Passò un'ora circa prima che Giovanni tornasse ad aprire lentamente gli occhi. Tutto il corpo gli faceva male e non riusciva ancora a muoversi. Sentì delle voci e diresse lo sguardo ancora un po' appannato in quella direzione. Piegato in due su un cavalletto c'era una strana donna, anzi no, guardando bene il fisico era palesemente un uomo vestito da donna. Polsi e caviglie erano legati al cavalletto e in bocca aveva un bavaglio di forma fallica. Dai grugniti soffocati che gli uscivano di bocca si capiva che il bavaglio gli arrivava in gola. Dietro di lui la rapitrice lo stava sodomizzando brutalmente con un fallo di dimensioni equine.
« Tieni! Prendi, sgualdrina! Pigliati 'sto bel cazzone in culo, così impari a far cadere i miei vestiti a terra. »
Giovanni notò che qualcosa dondolava tra le gambe della “donna”. Dei grossi pesi di piombo gli erano stati attaccati ai testicoli che risultavano parecchio allungati. Dopo alcuni minuti di vigorosa sodomizzazione la donna estrasse quasi tutto il fallo gigante e Giovanni spalancò gli occhi dallo stupore. “Come è possibile che un essere umano possa ospitare quel mostro senza subire danni irreparabili?” Si chiese. Vide la Mistress spingere di nuovo dentro tutto il il fallo con un unico possente colpo, tanto che si udì un sonoro schiocco per l'urto dei fianchi di lei contro le chiappe dello schiavo. Un mugolio soffocato dal bavaglio arrivò a Giovanni che rabbrividì immaginando il dolore causato da quella sodomizzazione. Di nuovo il fallo venne estratto completamente e Giovanni si fece un'idea approssimativa delle dimensioni, non meno di cinquanta centimetri e il diametro di un polso maschile, forse di più.

giovedì 13 ottobre 2011

Il posto sbagliato e il momento sbagliato - Parte 3

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Questa storia contiene violenza estrema da parte di una donna su un uomo, se questo genere vi da fastidio o semplicemente non vi piace non proseguite con la lettura!


Introduzione

Nelle mie fantasie femdom ho sempre avuto una predilezione per le violenze più estreme e per vittime che non sono consenzienti. Questo esula completamente da quello che deve essere il normale gioco BDSM tra adulti che deve sempre essere basato sul concetto di Sano/Sicuro/Consensuale. Invito chi legge a tenere sempre bene in mente che i miei racconti sono di pura fantasia e non devono mai in nessun modo essere presi ad esempio nella vita reale.
Nel racconto che segue ci sono situazioni di estrema violenza che a molti, anche negli appassionati di femdom, possono non piacere o addirittura disturbare. Se questo è il vostro caso vi invito molto caldamente a non continuare con la lettura.


Capitolo 3

Angela fermò la macchina davanti alla villa. Scese ed andò ad aprire la porticina che dava direttamente nel seminterrato dove aveva il suo attrezzatissimo doungeon. Ogni tipo di strumento di tortura trovava il suo posto sulle pareti e sui tavoli. Era tutto in bella vista così da innervosire gli schiavi che venivano per le sessioni. Tornò alla macchina e, impugnando la finta pistola con cui aveva terrorizzato Giovanni, aprì il bagagliaio.
«Scendi!»
Gli intimò Angela puntandogli la pistola al volto. Giovanni cercò di scendere ma era impedito dai polsi legati dietro la schiena e dalla corta catena che gli univa le caviglie.
«Hai dieci secondi per scendere, poi ti sparo in un ginocchio.»
Sibilò Angela spostando la pistola verso la gamba di Giovanni. Era proprio un'attrice perfetta, forse perché stava interpretando quello che veramente avrebbe voluto poter fare a qualcuno. Giovanni si precipitò come poté fuori dal bagagliaio, finendo di faccia nella ghiaia che ricopriva il vialetto.
«Bravo. Vedi che se vuoi ci riesci ad ubbidire?»
Disse Angela divertita dalla scena.
«Ora alzati se non vuoi essere preso a calci di nuovo. »
Giovanni ci provò ma appena fu sulle ginocchia gli arrivò un tremendo calcio nei testicoli che lo fece accasciare a terra. Angela rise di gusto
«Ti avevo avvisato. Non è forse vero?»
Lacrime di dolore uscirono dagli occhi di Giovanni mentre cercava in tutti i modi di risollevarsi nonostante il dolore. Non voleva rischiare un altro calcio.
«Ora ascolta bene perché ti dirò cosa fare e lo dirò una volta sola. Sai che ti conviene non farmi arrabbiare. »
Angela rivolse a Giovanni con uno sguardo gelido che gli fece ghiacciare il sangue.
«Vai verso quella porta e entra, Io ti chiuderò la porta alle spalle. Ci sono delle scale, scendile. Quando arrivi in fondo entra nella stanza che vedrai di fronte a te. Su uno dei tavoli della stanza ci le chiavi delle manette e delle cavigliere, usale. Quando sarai libero ti dovrai spogliare nudo e mettere i vestiti nel bidone che troverai vicino al tavolo. Appena fatto ti rimetterai le cavigliere e le manette così come sono ora. Poi andrai in centro alla stanza e ti metterai in ginocchio e li aspetterai fino a quando arriverò. Ci sono delle telecamere e controllerò ogni tua mossa. Fai una cazzata e appena entro ti ammazzo. »
Angela fece un cenno con la pistola in direzione della porticina aperta che dava verso il seminterrato della villa. Giovanni si incamminò a piccoli passi con la testa china, cercando di non ascoltare il dolore sordo che continuava ad arrivare dai testicoli. Appena dentro sentì uno schianto dietro di sé. Angela aveva chiuso la porta e la stava chiudendo a chiave. Il rumore della serratura lasciava intuire che non era certo una normale porticina ma piuttosto una ben oliata porta blindata.
Dopo aver chiuso la porta a chiave Angela si diresse in casa soddisfatta. La giornata aveva tutti i presupposti per diventare una delle migliori che avesse mai vissuto. Quel tizio agiva veramente come una vittima inerme e la cosa la stava eccitando come poche altre volte in vita sua. Una volta in casa si diresse in camera sua e accese il monitor collegato con il seminterrato. Il verme era arrivato nella sala delle torture e si stava guardando attorno. Angela scommise con se stessa che la vista degli oggetti di tortura sul tavolo e sulle pareti lo stavano facendo cagare sotto. “Dovrò comprarmi un nuovo sistema a colori e più definito. Voglio poter vedere come sbiancano quando entrano lì dentro.” pensò. Poi si diresse nella cabina armadio dove, oltre ai normali abiti, facevano bella mostra di se un'incredibile varietà di abbigliamento fetish di ogni foggia. Angela guadagnava molto bene con il suo lavoro di pro-dom. I clienti la pagavano profumatamente per essere torturati come meglio aggradava a lei. Poteva sembrare un assurdo ma era così e a lei certo non dispiaceva. Il cliente che l'aveva chiamata per essere rapito e che, a insaputa di Angela, ora stava sul ciglio della strada con una rosa in mano, era stato felice di anticipare ben tremila euro per un intero weekend di torture. Da venerdì sera alla mezzanotte di domenica. -Saranno più di quarantotto ore di inferno, ti avviso.- gli aveva detto lei. -E' quello che voglio.- aveva risposto lui. Angela aveva clienti quasi ogni giorno, che difficilmente però restavano più di un paio d'ore. Pagavano centinaia di euro a testa e Angela viveva molto agiatamente. La casa era perfettamente pulita ed ordinata per merito di uno schiavo che la pagava per l'onore di farle le pulizie vestito e truccato da cameriera. Naturalmente, nonostante il lavoro perfetto, veniva regolarmente punito/a per inesistenti macchie di sporco o per segni sul pavimento che Angela faceva di proposito con la scarpa. Nella cabina armadio Angela prese una camicetta di seta e la fece cadere a terra. Sarà il pretesto per la prossima punizione dello schiavo cameriera. Poi si diresse verso gli abiti fetish e cominciò a scegliere con cura cosa indossare. Tutto sommato il verme aveva pagato fior di soldi e come professionista doveva scendere almeno al compromesso di abbigliarsi come piaceva a lui.


Giovanni entrò nella stanza in fondo alle scale e si guardò in torno. Appena vide le fruste appese alla parete sbiancò e le ginocchia cedettero per un attimo. Dove cavolo era finito? E chi era la pazza che lo aveva trascinato in quel posto? Che diamine poteva volere da lui? Non era certo ricco ne tanto meno famoso. Vide la telecamera in alto ad una parete e si ricordò delle parole della donna. Si mosse quanto più in fretta poté per raggiungere il tavolo e liberarsi le mani. Appena raggiunse il tavolo vide le chiavi, ma appena spostò lo sguardo sugli altri oggetti posti bene in mostra sbiancò come un cadavere. Una serie di innumerevoli strumenti dall'aspetto raccapricciante facevano bella mostra di se. Ne riconobbe alcuni: frustini, canne di bambù e fruste di ogni genere, manette e corde, falli di diverse fogge e dimensioni dei quali anche il più piccolo era ben oltre le dimensioni di un pene “normale”. Sempre più terrorizzato vide un apparecchio dotato di cavi elettrici e sonde, delle rotelle simili a speroni da cowboy dotate di punte lunghe ed acuminate, pinze di varie fogge, spilloni, mollette metalliche e coccodrilli a cui erano attaccate delle catenelle . E, incredibile a dirsi, strumenti che riproducevano fedelmente quelli utilizzati nel medioevo per la tortura dei prigionieri come una morsa per le mani, un bavaglio a pera e ferri per marchiare a fuoco. Appena vide questi ultimi si girò di scatto per guardarsi intorno e... sì, eccolo là: un braciere pieno di carbone, spento ma pronto per l'uso. Giovanni si accasciò a terra disperato con la faccia nelle mani e si mise a piangere. Dopo un po' Giovanni si riprese e si alzò con la ferma decisione di non dare a quella donna spaventosa motivo di infierire su di lui. In quel momento non avrebbe saputo dire se fossero passati uno o più minuti da quando aveva ceduto alla disperazione. Si liberò e si spogliò in fretta e furia, si fissò le cavigliere e le manette ai polsi e di diresse verso il centro della stanza a passi microscopici a causa della catena alle caviglie. Ma prima che ci arrivasse la porta si aprì e Giovanni vide entrare quella donna abbigliata in un modo quanto meno particolare. Sarebbe stata eccitante se Giovanni non fosse stato completamente soggiogato dalla paura.


Angela si era preparata con cura. Non aveva concordato un abbigliamento particolare ma sapeva bene cosa piaceva a quelli come il verme che stava di sotto. Non ne ricordava il nome ma chissenefrega, non l'avrebbe mai chiamato per nome. Dopo essersi spogliata completamente nuda indossò un collant della Wolford che non presentava nessuna cucitura, nemmeno all'inguine, lasciando intravedere, o meglio vedere perfettamente, la fica depilata. Poi indossò un body di latex nero perfettamente lucido, sgambatissimo e dalla scollatura molto generosa. Era uno dei sui preferiti perché accentuava il seno spingendolo verso l'alto come fosse un push-up. Si controllò allo specchio dell'armadio, si sistemò il seno, infilò le dita nella sgambatura per sollevarla al massimo, sistemò lo stretto cavallo del body bene in centro al monte di venere. Ecco il motivo di quelle calze così particolari e costose, il latex avrebbe disegnato le cuciture del rinforzo all'inguine, invece così si formò una piccola piega sulla figa lasciando il resto perfettamente liscio. Inoltre questo collant entrava perfettamente tra le natiche, lasciando che la strettissima striscia di latex del body si insinuasse tra di esse praticamente scomparendo. Qualunque feticista avrebbe avuto un'erezione istantanea nel vederla. Dopo essersi assicurata che il body fosse perfettamente a posto passò a scegliere le calzature. Indossò un paio di stivali a mezza coscia di pelle nera con la punta lunga e affusolata, la suola spessa per dargli rigidità e dodici centimetri di tacchi di metallo sottilissimi, dei veri punteruoli. Gli stivali apunta erano un po' fuori moda ma devastanti se usati per calciare o calpestare uno schiavo inerme, e Angela aveva tutta l'intenzione di usarli abbondantemente. Fin dalla sua prima esperienza con il cugino, prendere a calci uno schiavo era la sua attività preferita. Nessuno dei sui clienti ne aveva mai evitato una buona dose. E qualcuno ne era uscito pure con qualche costola rotta. Completò l'abbigliamento con guantini di pelle senza dita, con borchie a punta sul dorso e sulle nocche. Li indossava solo quando intendeva essere particolarmente dura, ed era proprio il caso di quel giorno. Quindi andò alla console e iniziò a truccarsi sapientemente, aumentando la sua naturale bellezza ma anche accentuando la durezza dello sguardo. Il verme doveva eccitarsi vedendola, ma anche provare paura. Nel monitor dietro di lei, non visto, Giovanni era accasciato a terra e singhiozzava.
Quando fu pronta Angela si diresse nel seminterrato, aprì uno spioncino e controllò cosa stava facendo lo schiavo. Non era pronto. Fantastico! Angela aveva la scusa buona per iniziare a torturare il verme. Aspettò che l'uomo si fosse ri-amanettato ed entrò.
« Allora verme. Cosa ti avevo detto? Cosa cazzo ti fa pensare che non ti faccia pagare la tua disobbedienza? Ma ti insegnerò io cosa significa disubbidire ai miei ordini. »
Angela si diresse a grandi falcate al tavolo, afferrò un manganello da poliziotto. Si voltò verso Giovanni mostrandolo. La regola era quella. Lei mostrava quale sarebbe stato lo strumento che avrebbe usato poi senza trattenersi e se lo schiavo non voleva doveva usare la safe-word. Se non veniva usata allora era il semaforo verde per andarci dura. Perché Angela ci andava solo dura, non aveva mezze misure. Giovanni scosse la testa e implorò pietà. Niente safe-word, splendido.
« Ora ti do la tua prima lezione, cane. »
Angela si diresse verso Giovanni e iniziò una tempesta di bastonate su tutto il corpo. L'uomo cercava di proteggersi come poteva, ma con le mani legate dietro la schiena non poteva fare altro che cercare inutilmente di schivare i colpi che invece lo raggiungevano inesorabili. Dopo un paio di minuti e un numero incredibile di colpi durissimi, Angela si fermò ansimante ed eccitata. Guardò il verme rannicchiato a terra a cui sanguinava il naso e uno zigomo e con il torso che cominciava a chiazzarsi dappertutto di macchie giallastre, preludio dei lividi ed ematomi che sarebbero usciti poi.
« Spero che tu abbia capito che aria tira, altrimenti per te sarà molto dura. »
Detto questo Angela gli rifilò un calcio nelle costole, tanto per gradire. Poi prese una sedia che stava vicino alla parete, la portò davanti a Giovanni e si sedette in modo che i suoi stivali fossero a pochi centimetri dal suo volto. Incrociò le gambe e guardando il manganello che aveva in mano come fosse la cosa più interessante dell'intera stanza iniziò a parlare in modo molto tranquillo.
« Dunque verme, ora ti spiego perché sei qui. E' molto semplice: sono una sadica a cui piace torturare gli uomini e poi, quando mi sono stufata, mi piace ammazzarli nel modo più lento e doloroso possibile. Ora... ti renderai conto che se mi stufo di te sei finito. Quindi è nel tuo interesse non farmi incazzare disobbedendo ai miei ordini. Solo un coglione come te può non capire questo semplice dato di fatto. Ogni disobbedienza verrà punita peggio della precedente e, se mi scoccio del tutto ti torturerò a morte. La regola vale per qualsiasi ordine, senza eccezioni. Prima o poi morirai tra indicibili sofferenze, ma se sarai molto ubbidiente potrai vivere più a lungo. Mi sono spiegata? »
Giovanni la guardava senza parole. Partì un calcio che lo colpì in pieno volto.
« Rispondi coglione! »
Urlò Angela.
« Si, ho capito. »
Disse Giovanni con voce tremante. Un altro calcio lo raggiunse sul naso già sanguinante.
« “Si Padrona” pezzo di merda! »
« Si P... Padrona »
Disse la voce terrorizzata e balbettante di Giovanni. Sembrava tutto vero. Angela era bagnata come lo era stata raramente. Quello schiavo, con la sua aria inerme e disperata, la stava eccitando come non mai. Angela stava già pensando di prenderselo come schiavo fisso, un attore così era un tesoro da tenersi stretta. Ma ora voleva solo pensare a immedesimarsi il più possibile e godersela, nel vero senso della parola.


martedì 11 ottobre 2011


"Non lamentarti e continua a succhiare!" A volte siete così cattive :-)



giovedì 29 settembre 2011

Ecco un nuovo disegno dei miei.
Uno dei miei temi preferiti è la tortura tramite l'uso dei tacchi a spillo.
Ogni critica e suggerimento è bene accetta, non fatevi problemi.
Accetto anche richieste per disegni su temi particolari nell'ambito Femdom, anche donna su donna.
Ciao e alla prossima.





martedì 27 settembre 2011

Il posto sbagliato e il momento sbagliato - Parte 2

Avviso:

Questa storia contiene violenza estrema da parte di una donna su un uomo, se questo genere vi da fastidio o semplicemente non vi piace non proseguite con la lettura!


Introduzione

Nelle mie fantasie femdom ho sempre avuto una predilezione per le violenze più estreme e per vittime che non sono consenzienti. Questo esula completamente da quello che deve essere il normale gioco BDSM tra adulti che deve sempre essere basato sul concetto di Sano/Sicuro/Consensuale. Invito chi legge a tenere sempre bene in mente che i miei racconti sono di pura fantasia e non devono mai in nessun modo essere presi ad esempio nella vita reale.
Nel racconto che segue ci sono situazioni di estrema violenza che a molti, anche negli appassionati di femdom, possono non piacere o addirittura disturbare. Se questo è il vostro caso vi invito molto caldamente a non continuare con la lettura. 


Capitolo 2

Giovanni si incamminò lungo la strada senza fretta, era in anticipo sull'appuntamento e non aveva fretta di arrivare al ristorante. Anzi era un po' nervoso e giocherellava con la rosa fantasticando su come sarebbe potuta andare tra lui e Mirella. All'improvviso una macchina lo supera e inchioda davanti a lui. Ne scende una bella donna, molto appariscente, inguainata in miniabito di latex nero e lucido, aderente come una seconda pelle. Collant neri e stivali a mezza coscia dalla punta affusolata completavano un abbigliamento a dir poco aggressivo. La donna lo avvicina a passi svelti e, appena fu a un paio di metri portò avanti il braccio che teneva dietro la schiena per puntarli in faccia una pistola. «Voltati, mani sulla testa e apri bene le gambe. SUBITO!» gli urla la donna. Giovanni si mosse lentamente e si mise nella posizione richiesta. «Credo che ci sia un err...» Un calcio improvviso tra le gambe colpì Giovanni che si accasciò lentamente al suolo tenendosi l'inguine con entrambe le mani. La donna gli girò in torno e lo colpì con un secondo potente calcio nello stomaco. «Stai zitto verme!» Giovanni portò un braccio davanti allo stomaco per proteggersi mentre l'altra mano restava a coprire i testicoli doloranti. L'aria non voleva saperne di rientrare nei suoi polmoni nonostante i suoi sforzi per riprendere a respirare. Con gli occhi sbarrati di terrore guardava la donna che gli puntava la pistola e sorrideva soddisfatta. «Ora tu vieni con me e fai il bravino se non vuoi un proiettile in testa.» Giovanni riuscì finalmente a recuperare un pochino di fiato e cercò di parlare di nuovo «Non so chi lei crede che io sia, ma...» Questa volta il calcio arrivò in pieno volto e la solida punta affusolata dello stivale contribuì a rendere il colpo devastante. Giovanni si trovò sdraiato sulla schiena e non fece in tempo a toccarsi il viso che un altro calcio lo colpì al fianco destro facendolo rotolare sulla pancia. Il respiro si bloccò di nuovo e mentre Giovanni annaspava per recuperare l'uso dei polmoni la donna gli si parò davanti. Giovanni vedeva le punte degli stivali davanti ai suoi occhi e vide uno dei due piedi sollevarsi per andare ad appoggiare il lungo e sottile tacco metallico sulla sua guancia.
Angela, ora nei panni di Mistress Pain, guardò l'uomo a terra che si lamentava mentre gli avvitava con forza il tacco nella guancia. Possibile che questo verme flaccido abbia avuto il coraggio di chiamarla per uno dei suoi trattamenti? Un essere così molle da non sopportare qualche calcetto senza afflosciarsi a terra come uno straccio. Com'era possibile che quell'invertebrato lamentoso fosse il masochista che le aveva dato mano libera? “Mmmm... Si lamenta come se non potesse sopportare... però non usa la safe-word e quindi vuole andare avanti. Che sia solo un bravo attore? Comunque cazzi suoi. Ha scelto lui e inoltre mi ha pagata in anticipo come concordato quindi fin quando non userà la safe-word starò ai patti. Gli farò provare come può essere l'inferno in terra.” Guardò Giovanni e notò che il tacco aveva logorato la pelle della guancia che iniziava a sanguinare. La cosa la eccitò e spinse il tacco ancora più forte senza smettere di avvitarlo, strappando a Giovani un urlo di dolore. Parlò con incongrua dolcezza «Mio piccolo verme, ora tu stai zitto e ubbidisci o ti massacro di calci e poi ti ammazzo li dove sei. Ubbidirai?» Giovanni, terrorizzato da quella che ai suoi occhi appariva come una pericolosa psicopatica biascicò da sotto il tacco un «Scì...» . Con destrezza da esperta Angela gli mise un paio di manette ai polsi legandoli dietro la schiena. Quindi gli mise un paio di cavigliere unite da una corta catena. «Di certo ora non scappi più da nessuna parte.» disse ridendo. Andò alla macchina e aprì il bagagliaio, quindi tornò da Giovanni e lo prese per i capelli, costringendolo a rialzarsi come meglio gli consentivano le catene. «Vai alla macchina ed entra nel bagagliaio. VELOCE!» Giovanni si incamminò a piccoli passetti, rischiando più volte di cadere. Arrivati alla macchina Miss Pain gli diede uno spintone facendolo ribaltare dentro il bagagliaio. L'auto era una grossa berlina Mercedes e il bagagliaio poteva ospitare Giovanni senza problemi. Appena fu dentro Miss Pain prese dal fondo del bagagliaio un bavaglio a palla, e glielo ficcò in bocca a forza allacciandolo poi dietro la testa più stretto che poteva. Giovanni si lamentò per il dolore che le cinghie causavano alle labbra ma gli uscì solo un leggero mugolio. Angela sorrise tra se per il buon lavoro e poi colpì ripetutamente Giovanni con dei pugni al volto. I guantini di pelle con le nocche borchiate accentuarono parecchio il dolore causato dai colpi e sul sopracciglio sinistro di Giovanni si aprì un piccolo taglio. Angela si chinò e gli sussurrò nell'orecchio «Se ti sento ancora prima di essere arrivati ti infilo la pistola nel culo e te la scarico dentro. Sono stata chiara?!» Giovanni si guardò bene dal cercare di rispondere con un si e invece annuì, tutto sommato non era un cretino.
Ad Angela piaceva da matti fare la parte della pazza psicopatica e doveva ammettere che come attore quel vermiciattolo se la stava cavando almeno altrettanto bene. Si stava eccitando come poche altre volte in vita sua. Nelle fantasie erotiche di Angela l'abuso su una vittima non consenziente e, sopratutto, non masochista ricorreva spesso e, immancabilmente, l'orgasmo giungeva forte. Ogni volta poi finiva con il pensare “Peccato che sia illegale avere schiavi e torturarli a piacere come ai tempi dei paesi schiavisti. Un vero peccato.” Non si contavano le volte in cui si era masturbata immaginando di rapire e torturare una vittima scelta a caso. E, per ora, questo verme sembrava riuscire a darle almeno la sensazione di realizzare quella sua fantasia. Certo, c'erano stati molti altri che le avevano chiesto un trattamento simile, però nessuno le aveva dato così tanta mano libera. E, in particolare, nessuno era stato un buon attore. Restavano li, a farsi picchiare, inermi o addirittura eccitati, certo non sembravano una vera vittima. Questo invece si comportava proprio come un inconsapevole vittima, preda di una pazza sconosciuta. Le faceva provare dei brividi di eccitazione che non aveva ancora mai provato. Tranne forse quella volta con suo cugino Marco...
All'epoca Angela era ancora una ragazza di soli sedici anni e Marco, a tredici anni, era appena entrato nell'adolescenza. Era primo pomeriggio ed erano a casa da soli perché le loro madri erano uscite insieme a fare shopping. Quello stronzo di Marco le aveva preso una delle Barbie della sua collezione, la sua preferita per giunta. Il cretino le mostrava la bambola e la sfidava a riprendersela, sempre che ne fosse capace. All'epoca lei aveva già un fisico quasi da adulta. Marco invece non aveva ancora iniziato quel veloce sviluppo degli adolescenti e rispetto a lei era un tappo mingherlino. Angela davanti a quella provocazione non ci vide più. Fuori di sé lo raggiunse con un balzo e gli diede uno spintone spedendolo a terra lungo disteso. Marco si mise a frignare mentre lei gli strappava di mano la bambola. Poi, guardandolo dall'alto in basso gli rifilò un calcio nelle costole per vendicarsi. Marco si contorse per il dolore con il fiato mozzo. Angela lo guardò e sentì uno strano calore avvolgerla. Istintivamente si portò una mano all'inguine provando uno strano piacere. Non sapeva ancora cosa stava provando. Con le sue amiche aveva parlato di sesso ma sempre riferito ad atti piacevoli con i ragazzi, non certo al picchiarli. Ma vedere il suo cuginetto contorcersi a terra per il dolore causato da lei la stava eccitando. Senza riflettere lo colpì di nuovo, e di nuovo, sempre più veloce e sempre più forte. Dopo poco stava facendo piovere sul cugino una tempesta di calci. Il fatto di indossare gli stivali che sua madre le aveva da poco regalato, dotati di una discreta e solida punta, contribuiva ad eccitarla ancora di più. Colpiva ovunque le capitava. Ogni parte del corpo non fosse protetta dalle mani di Marco veniva bersagliata. Costole, pancia, volto e sopratutto i testicoli. Colpiva e rideva dei lamenti di suo cugino. Più colpiva e più si eccitava. Più si eccitava e più forte colpiva. Quando si accorse che Marco sanguinava copiosamente da naso e bocca si fermò in preda al suo primo orgasmo. Si sollevò la gonna e infilò la mano nelle mutandine masturbandosi oscenamente di fronte al cugino che piangeva e si lamentava a terra, mugolando e ansimando di piacere Quando si riprese da quel orgasmo esplosivo Marco era ancora li a terra che si lamentava sommessamente, gli occhi e le labbra gonfi come palloni, si teneva le costole respirando a fatica. Angela capì che se voleva farla franca doveva terrorizzarlo. Si chinò su di lui e gli disse «Ora ricorda bene... sei uscito e hai incontrato dei ragazzi sconosciuti che ti hanno ridotto così per rubarti i soldi che avevi in tasca e il tuo cellulare.» Mentre parlava gli frugava nelle tasche prendendogli il telefonino e i soldi. «Se parli ti vengo a prendere e ti sfondo la testa a calci. Mi sono spiegata?» Mise il cellulare di Marco sul pavimento «Fai conto che questa sia la tua faccia...» disse e cominciò a colpire ripetutamente il telefono con il tacco fino a ridurlo a pezzettini. «Allora, mi sono spiegata?» Marco scoppiò in lacrime e si pisciò addosso per il terrore. Certamente non l'avrebbe tradita. Angela, vedendo quale livello di terrore era riuscita ad incutere in suo cugino, si eccitò di nuovo e ricominciò a masturbarsi, guardandolo piangere rannicchiato in un angolo in una pozza di piscio. Fu quel giorno che Angela scoprì il proprio sadismo e il piacere nel provocare dolore e terrore.
Mentre chiudeva il bagagliaio su Giovanni pensò “Speriamo solo che non getti la spugna troppo presto.” Si mise alla guida e partì diretta alla propria villa fuori città.

Continua...