giovedì 27 dicembre 2012

Una donna mozzafiato. Cap. 1 - L'incontro


Avviso:

Racconto FemDom. La storia seguente contiene scene di dominazione donna su un uomo ed è da intendersi per un pubblico adulto, se siete minori o questo genere vi disturba o semplicemente non vi piace non proseguite con la lettura!
Questo racconto è di pura fantasia ed eventuali casi di omonimia sono una pura casualità.


Una donna mozzafiato

Capitolo 1 - L'incontro

"Sei sicuro?" mi chiese lei.
"Si Padrona." risposi con la voce tremante.
Sapevo a cosa andavo incontro e mi spaventava da morire, ma sapevo anche quanto facesse godere lei e avrei fatto di tutto per farla felice. Mi guardava con occhi pieni di eccitazione, mentre mi carezzava la guancia con la mano coperta dal guanto di pelle nera. La guardai e di nuovo scoprii quanto il suo corpo mi eccitasse. O meglio, non era il suo corpo. No, era lei ad eccitarmi. Lei in senso lato. Le sue movenze, la sua ostentata sicurezza, il suo sguardo che esprimeva distacco, superiorità e, insieme, apprezzamento per chi si dona a lei. Era il modo in cui si vestiva, erano i suoi piedi nervosi, era il suo abbigliamento aggressivo. Erano le sue labbra capaci di un sorriso che ti scalda il cuore come di parole più dure delle scudisciate. Era il suo incedere che faceva spostare con rispetto tutti coloro che le stavano sulla strada. E, soprattutto, era il modo di guardarmi. Il modo in cui guardava me in particolare. Non so descrivere come mi sento ogni volta che mi fissa. Fin dal primo incontro, al bar dove lavoro. Mi posò gli occhi addosso e le mani iniziarono a tremare.
Mi ordinò un caffè e mai come allora avrei potuto dire che qualcuno mi aveva “ordinato” un caffè. Una voce che, seppur bassa e calma, non ammetteva repliche. Mi fissò tutto il tempo della preparazione. Senza un particolare motivo iniziai a tremare, la tazzina tintinnava sul piattino e non so come feci a non farlo cadere. Lei non mi staccò gli occhi di dosso nemmeno mentre sorseggiava il caffè. Io presi a pulire con lo straccio un bancone già lindo pur di non dover stare fermo sotto il suo sguardo.
"Sono nuova della zona. Il suo caffè è buono, quindi penso di tornare. Di norma sono abituata a fare colazione alle otto e trenta con cappuccio e brioche appena sfornata. Mi aspetto quindi che provvederai a farmela trovare."
"Certo signora, io faccio arrivare le brioche fresche ogni mattina."
"Forse non mi sono spiegata bene. O meglio... sei tu che non capisci..."
Il tono non era cambiato, l'espressione del viso nemmeno. Eppure le gambe erano pronte a cedermi. Ero preso da quella donna e terrorizzato al contempo senza sapermi spiegare perché.
"Ho detto “appena sfornata”. La voglio ancora calda. Non mi interessa sapere cosa fai prima o dopo o di altre cazzate. Io arrivo alle otto e trenta precise, se non vedo sul mio tavolo cappuccino e brioche appena fatti entro un minuto da quando mi siedo non metterò più piede qui dentro. Mi sono spiegata?"
“S..sì signora.”
Incredibile. Ero appena stato trattato come una pezza da piedi e invece di incazzarmi ero spaurito come un gattino sotto la pioggia. Quella donna emanava un'aura di potere che io avvertivo sulla pelle.
Appena fu uscita mi organizzai. Telefonai al panettiere che mi forniva le brioche e gli chiesi di dividere la consegna del mattino in due tranche, una alle sei come al solito e l'altra alle otto e venti, tassativo che fossero appena sfornate. Mi disse che una infornata di brioche a quell'ora non la faceva ma insistetti e ottenni la consegna desiderata. A prezzo maggiorato, bastardo di un panettiere. Ma ne valeva la pena, quella donna doveva restare a far colazione al mio bar ad ogni costo.
Il giorno seguente arrivò, precisa come un orologio svizzero. Entrò e, senza degnarmi di una parola né uno sguardo si sedette ad uno dei tavolini. Interruppi immediatamente di fare il “marocchino” al cliente che avevo davanti e mi misi a prepararle il cappuccino. Preparai il latte montato con la massima attenzione mentre scendeva il caffè nella tazza, lo versai facendo attenzione che ci fosse la giusta quantità di latte e di schiuma. Lo misi su un vassoio insieme alla brioche ancora calda di forno e mi diressi al suo tavolo.
"Ma che modi sono questi?" mi apostrofò il cliente che avevo abbandonato.
"Prima la Signora" gli risposi senza guardarlo.
Non so se la “S” maiuscola di Signora si era avvertita ma nella mia testa c'era. Sentii il cliente sbuffare ma non mi interessava. La mia Signora era li davanti che non mi degnava di uno sguardo ma sapevo che attendeva la sua colazione. Le posi davanti il cappuccino e la brioche.
"Prego Signora, il suo cappuccino e la brioche appena sfornata."
Continuò a non guardarmi. Prese le bustine di zucchero e le versò nel cappuccino. Io stetti fermo per qualche secondo e poi, visto che venivo ignorato, tornai al bancone a finire il “marocchino” che ne frattempo si era raffreddato. Lo buttai e lo rifeci mentre il cliente protestava per il tempo perso. Continuavo a buttare l'occhio sulla Signora che faceva colazione senza proferire verbo e senza mai voltarsi verso di me. Era vestita in modo elegante e al contempo sexy ma senza essere volgare. Un tailleur fatto sicuramente su misura composto da una giacca, una gonna sopra il ginocchio. Le gambe erano velate da calze nere e i piedi calzati in scarpe con plateau dall'aspetto molto costoso. Avrebbe potuto essere un'imprenditrice o un avvocato o qualcosa di simile. La fissavo cogliendo ogni particolare. Il colore della pelle, il trucco, l'acconciatura. Ero sicuro di non essere visto. L'altro cliente posò la tazzina e si diresse borbottando alla cassa dove lo seguii per fargli lo scontrino e finalmente liberarmene. Quando fu uscito tornai dietro al bancone a fissare la Signora al tavolo.
"Quando avrai finito di fissarmi portami uno straccetto, credo di avere le scarpe un po' impolverate. Odio avere le scarpe impolverate."
Sussultai di sorpresa. Guardai stupito il volto della donna e ne seguii lo sguardo verso la vetrina del bar. Che coglione che ero! Mi stava guardando riflesso nel vetro e chissà da quanto tempo. Probabilmente si era accorta che la fissavo continuamente. Arrossii come un peperone mentre prendevo uno straccio pulito da un cassetto e mi precipitavo da lei. Non so perché ma non mi passò nemmeno per l'anticamera del cervello di porgergli lo straccio. Invece mi inginocchiai a terra e iniziai a pulirgli le scarpe che, a dire la verità, sembravano perfettamente pulite e lucenti. Sollevai gli occhi per un attimo e vidi che mi guardava e sorrideva soddisfatta. Quando fui sicuro che nemmeno un granello di polvere era rimasto sulle bellissime scarpe mi sollevai in piedi.
"Credo siano pulite ora Signora"
Lei buttò un'occhiata distratta alle scarpe.
"Mmm... sì. Può andare."
Poi portò lo sguardo su di me fissandomi negli occhi, io abbassai lo sguardo a terra.
"Il cappuccino era buono e la brioche fresca. Mi piacciono gli uomini che sanno qual'è il loro posto e come servire una donna. Domani tornerò e credo che avrò ancora le scarpe impolverate, devo dire altro?"
"Si, certo... cioè... no no... non è necessario" mi impappinai.
Rise.
"Bene. Ora vado."
"La colazione è offerta dalla casa."
Le dissi da dietro le spalle mentre lei si avviava all'uscita. Si girò è mi regalò un sorriso, quindi uscì. Quel sorriso irradiò tutta la mia giornata di una felicità fino ad allora sconosciuta. Tutto era più leggero e nulla riusciva a togliermi l'allegria. Neppure il solito cliente rompicoglioni del cappuccino tiepido con caffè decaffeinato con il cacao a parte e il manico della tazzina girato a sinistra riuscì a farmi cambiare umore. La mattina seguente la scena si ripeté uguale, tranne che nel bar c'era più gente. Di nuovo mollai tutto per preparare il cappuccino alla mia Signora. Di nuovo ci furono mugugni da parte degli altri clienti. Mi fiondai a portare cappuccino e brioche mentre lei leggeva il giornale senza guardarmi. Poggiai cappuccino e brioche sul tavolino e lei continuò la lettura come non ci fossi. Memore delle parole del giorno prima mi ero portato lo straccio e, arrossendo perché sapevo che altre persone mi stavano guardando, mi inginocchiai e cominciai a pulirle le scarpe. Dopo qualche secondo la Signora poggiò il giornale e, continuando ad ignorarmi come non fossi lì con la sua scarpa in mano, diede un morso alla brioche e bevve un sorso di cappuccino. Le scarpe erano già perfettamente lucide quando iniziai a pulirle, così dopo qualche passata di straccio mi alzai per tornare al bancone sotto gli occhi increduli degli astanti. Quando fui di nuovo al mio posto mi girai verso la Signora e vidi che mi stava guardando con un sorriso soddisfatto. Non so come feci a non mettermi a saltare dalla gioia. Ero così euforico che non sentii nemmeno i commenti dei clienti. Servii tutti come un fulmine fischiettando allegro. Alla fine, tutto sommato, anche gli altri clienti non ebbero molto da lamentarsi. Dopo una decina di minuti il bar era vuoto. Il momento di punta era terminato e i clienti erano chi in ufficio chi in officina e chi... cazzi suoi. Tornai dalla Signora che oggi indossava un elegante tailleur di pelle nera che ero sicuro fosse griffato e una camicetta bianca di seta. Calze e scarpe del medesimo colore completavano il tutto. Mi fermai vicino al tavolo e chiesi se potevo servirle altro. La scelta del verbo “servire” non era affatto casuale. Lei alzò lo sguardo dal giornale e lo posò su di me.
"Siediti"
Fu un ordine, non un invito. Mi sedetti mentre lei mi fissava. Non riuscii a reggere il suo sguardo e abbassai il mio sul tavolino.
"Bene, tieni gli occhi bassi. D'ora in poi non dovrai più alzarli sopra le mie caviglie. Tanto lo so che non ti dispiace affatto."
"Si Signora. Starò attento."
Una risata cristallina riempì il bar, poi la Signora tornò a guardarmi.
"Sei un uomo che sa qual'è il suo posto. Mi piace. Dimmi, che orari fai qui e in che giorni sei libero?"
Sentii il mio cuore accelerare.
"Dato che apriamo il mattino presto alle otto di sera chiudiamo. La domenica e il lunedì pomeriggio il bar è chiuso."
"Bene. Hai famiglia? Legami parentali o altro?"
"No, vivo solo, sono single. I miei vivono a Milano, io sono venuto qui perché ho trovato l'occasione di gestire questo bar."
"Perfetto. Ora ascolta bene perché non mi piace dover ripetere le cose due volte e non ti darò un'altra occasione."
"Si, dica."
"Stai zitto! Parla solo se ti interrogo."
Il tono non ammetteva repliche. Uno schiaffo mi avrebbe fatto meno male.
"Ho visto come mi guardi, e in particolare come guardi i miei piedi."
Tenevo gli occhi bassi e lei mosse il piede come per farmelo vedere ancora meglio. Divenni rosso come un peperone.
"E ho notato come non hai problemi ad eseguire ordini umilianti."
Il mio rossore aumentò come il suo sorriso.
"Ti confesso che la cosa mi piace molto e non mi dispiacerebbe godere dei tuoi servigi a casa mia. Cosa ne pensi, ti interessa?"
"Si, certo."
Risposi senza nemmeno pensarci. Era un sogno che stava prendendo forma.
"Bene, però ci sono delle condizioni e queste potrebbero non esserti gradite ma per me sono irrinunciabili. Capisci?"
"Credo di si Signora."
"Bene. Per cominciare quando siamo soli devi chiamarmi “Padrona”."
Annuii con la testa attento e in silenzio.
"A casa mia dovrai stare nudo e in ginocchio salvo che non ti ordini diversamente. Dovrai ubbidire a qualsiasi ordine ti dia senza obbiettare. Qualunque disobbedienza verrà punita severamente con punizioni fisiche che saranno a mia unica discrezione. Tu non potrai mettere limiti di sorta alle punizioni. Tu non avrai nessun diritto. Ti potrò punire anche se non hai fatto nulla di male ma semplicemente per mio divertimento. Voglie essere ancora più chiara... ti potrò fare quel che mi pare, quando mi pare e perché mi pare. Fino qui tutto chiaro? Rispondi si o no."
"Si Padrona"
"Bene, vedo che impari in fretta, meriti un premio."
Aveva le gambe accavallate. Vidi il piede sollevato da terra piegarsi all'insù mostrandomi la suola rossa un po' rovinata dall'uso. Con l'indice mi indicò la scarpa senza proferire parola. Restai indeciso per alcuni secondi mentre lei restava immobile. Presi il coraggio a due mani e mi inginocchiai. Abbassai la testa e baciai la suola della scarpa sentendo chiaramente sotto le labbra la presenza di microscopici sassolini.
"Oh no... meriti molto di più di questo non credi?"
Alzai la testa per guardarla senza capire. Lei vide il mio smarrimento.
"Lecca, coglione!"
L'offesa non mi fece effetto. Quella donna poteva chiamarmi come più le pareva, ormai ero suo. Abbassai di nuovo la testa ed estrassi la lingua. Ero indeciso, non avevo mai fatto una cosa così umiliante e schifosa. Lei non aspettò e spinse in avanti il piede strusciando la suola sporca sulla mia lingua. Muoveva il piede come se la mia lingua non fosse altro che uno zerbino su cui pulire la suola. Dopo che mi ebbe fatto leccare entrambe le suole mi fece rimettere seduto.
"Spero ti sia piaciuto il premio. Ora apri bene le orecchie. Come ti dicevo io potrò punirti come mi pare, ma tu conserverai un diritto e uno soltanto. In qualunque momento potrai rifiutare una punizione o interrompere la punizione in corso, ma se lo farai dovrai andartene immediatamente e non mi vedrai più. Hai capito? Un solo rifiuto e tutto finisce. Sono stata chiara?"
"Si Padrona."
"Se accetti d'ora in poi verrai a stare da me. Continuerai il tuo lavoro al bar ma tutto il resto del tempo resterai a casa mia e non uscirai se non autorizzato da me, per nessuna ragione. Se vorrò invitare qualcuno tu servirai anche le mie ospiti, uomini non ne verranno mai. Allora, accetti?"
Ci pensai solo per un paio di secondi.
"Si Padrona, con gioia."
"Bene, schiavo."
Sentire la parola “schiavo” pronunciata da quella donna e riferita a me mi fece provare un brivido di paura lungo la schiena e, contemporaneamente, orgoglio e felicità. Emozioni così forti e contrastanti che gli occhi mi divennero lucidi.
"Oh mamma, non ti ho nemmeno toccato e già piangi? Si può sapere perché?"
"Sono felice Padrona"
Padrona”... anche pronunciare quella parola mi provocava emozione. Avevo una Padrona. E che Padrona.
"Fai bene a essere felice. Devi essere anche onorato di essere mio schiavo."
"Lo sono Padrona, sono molto onorato e molto grato."
Vi chiederete come si fa ad essere riconoscenti verso chi ti rende schiavo e ti fa leccare le sue scarpe. La risposta è semplice: non lo so. E' semplicemente così e basta. Solo chi è come me può capire cosa si prova. Se non lo capite subito allora smettete pure di provarci perché non lo capirete mai. Fatto sta che ero felice e riconoscente. La Padrona mi guardò sorridente.
"Credo che sarai un buono schiavo" mi disse "impari in fretta e hai un buon istinto. Ma devi migliorare. La prossima volta dovrai leccare molto meglio di come hai fatto se vorrai risparmiarti una buona dose di frustate. Intesi?"
"Si Padrona, ci proverò."
Non feci nemmeno in tempo a vederlo. Uno schiaffone mi prese in pieno volto. Sentii la guancia bruciare. Istintivamente la accarezzai con la mano.
"Ci proverò?"
La guardai senza capire. Un manrovescio mi colpì sull'altra guancia.
"Ci proverò?"
Mi coprii l'altra guancia senza capire in cosa avevo sbagliato.
"Togli subito quelle cazzo di mani dalla faccia e inginocchiati qui davanti."
Dovetti fare uno sforzo per abbassare le mani e poggiarle a terra. La Padrona mi guardava dall'alto con un'espressione severa ma non era arrabbiata, sembrava un'insegnante che impartisce una lezione. Si alzò e mise il tacco destro sul dorso della mia mano sinistra. Strinsi i denti al dolore acuto.
"Ci proverò?" mi ripeté.
Lentamente la pressione del tacco aumentava sulla mia mano. Strinsi gli occhi e poi, finalmente, capii.
"Leccherò molto meglio Padrona, sarò perfetto, le pulirò la suola con la lingua ma per favore..." dissi tutto d'un fiato.
Sentii il tacco sollevarsi. Mi guardai la mano e vidi una piccola rientranza semicircolare bianca nella pelle del dorso. Portai la mano al petto e la coccolai con l'altra. Dopo pochi secondi il minuscolo incavo diventò rosso e i bordi cominciarono a gonfiarsi. Sapevo che di li a poco sarebbe diventata viola. Mi sentii afferrare per i capelli. La Padrona mi fece piegare la testa indietro per fissarmi negli occhi.
"Questo è niente rispetto a quello che ti farò. Siamo nel tuo bar e non posso esagerare. Fossimo stati a casa mia ti avrei fatto piangere. Sei ancora sicuro di voler essere mio schiavo?"
Fui assalito dalla paura. Cosa mi dovevo aspettare da quella donna crudele. Fino a un minuto prima ero felice come una pasqua, ora me la facevo sotto. Stavo forse facendo l'errore della mia vita? La Probabilmente la Padrona vide il dubbio nella mia espressione perché la sua espressione si ammorbidì. Ora ero in ginocchio davanti a lei che mi teneva ancora la testa per i capelli, ma più gentilmente. Si avvicinò. Mise il suo piede tra le mie gambe appoggiandolo al mio inguine. Iniziò a strusciarlo mentre con la mano aprì lo spacco anteriore della gonna fino a scoprire la coscia. Mentre teneva la gonna aperta mi spinse il viso contro la sua gamba velata dalla calza di cui vedevo l'inizio della parte scura in cima alla coscia. In quel modo mentre il piede mi massaggiava la patta dei pantaloni il nylon della calza strusciava sul mio viso. Ebbi un'erezione così potente come non ricordavo di averne mai avute.
"Però ricorda che posso anche premiare lo schiavo che si comporta bene. E tu sei stato bravo per ora."
Il movimento della gamba era contemporaneamente un paradiso e una tortura. Avrei voluto tirare fuori il cazzo per gustarmi appieno quel massaggio ma non era possibile per due motivi. Primo non mi era stato ordinato e secondo ero nel bar e poteva entrare qualcuno da un momento all'altro. Questo pensiero mi preoccupava particolarmente ma non osavo interrompere la mia nuova Padrona, e comunque non volevo affatto interromperla. Ci pensò lei al posto mio. Probabilmente mi lesse in volto che stavo per arrivare all'orgasmo e si fermò giusto un attimo prima.
"Ho no... la prego continui"
"Forse questa sera, se saprai meritartelo."
Abbassai lo sguardo rammaricato. La Padrona mi consegnò un biglietto da visita.
"Questo è il mio indirizzo, otto e quindici, porta l'occorrente per lavarti e un cambio. Mi raccomando sii puntuale. Lo dico per te."
E senza aggiungere altro si voltò ed uscì dal bar. Guardai il bigliettino e mi resi conto solo in quel momento che della mia nuova Padrona non conoscevo ancora nulla, nemmeno il nome di battesimo. Era surreale. Avevo appena accettato di diventare schiavo di una donna che non conoscevo per nulla. Ero forse diventato pazzo? Lessi il nome sul biglietto: Ilaria Guglielmi. Bel nome. Via Verdi 28... continuai a leggere. Era dietro l'angolo, non sarebbe stato difficile essere puntuale. Il resto della giornata passò lentissimo. Continuai tutto il tempo a controllare l'ora e quando non guardavo l'orologio guardavo il dorso della mia mano dove il segno lasciato dal tacco era ormai arrossato e leggermente gonfio. Finalmente arrivò l'ora di chiusura. Mi fiondai fuori e corsi a casa. Infilai in una borsa da palestra un cambio lo spazzolino da denti e l'accappatoio. Chiusi casa e partii in quarta. 

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