martedì 29 novembre 2011

Il posto sbagliato e il momento sbagliato - Parte 6


Avviso:
Questa storia contiene violenza estrema da parte di una donna su un uomo, se questo genere vi da fastidio o semplicemente non vi piace non proseguite con la lettura!



Capitolo 6

Angela prese dal tavolo una sigaretta e l'accendino e, mentre l'accendeva, si avvicinò all'uomo a terra che, nel vederla avvicinarsi, strisciava all'indietro terrorizzato.
« Ti è piaciuto lo spettacolo? Spero di sì perché lo proverai anche tu. Ma non ora, non oggi. Domani risparmierò quella zoccola e ti farò provare com'è essere al suo posto su quel cavalletto. Sei contento verme? »
Giovanni scosse la testa.
« N..no la p..prego. Sono ver...vergine, n...non potrei sopportare... »
« Vergine? Mmmm... fantastico adoro sfondare i culi vergini con quel bel cazzone. L'ultimo vergine che ho avuto è svenuto mentre l'inculavo, una vera rottura. Ho dovuto usare i sali per farlo rinvenire prima di continuare. Ma non ti preoccupare, a te darò degli stimolanti che eviteranno il problema. »
Una risata crudele invase la stanza quando Angela vide la faccia incredula e terrorizzata del verme che la fissava con la bocca spalancata. E il bello era che ciò che aveva detto era tutto vero, tutto senza eccezioni. Angela si accovacciò poggiando le braccia sulle ginocchia coperte dagli stivali e tirò una boccata dalla sigaretta.
« Sei contento che ti tratto con così tanto riguardo rispetto agli altri? »
Di nuovo la risata crudele.
« Povero. Non sai in cosa ti sei cacciato. »
Continuando a sorridere soffiò sulla punta accesa della sigaretta e poi la spense sulla guancia del verme che urlò prima di sorpresa e poi di dolore.
« Sei un bel giocattolo, credo che finirò col non lasciarti più andare. Godo troppo con te. »
Detto questo riaccese la sigaretta per poi spegnerla di nuovo vicino alla prima bruciatura. Di nuovo le urla di Giovanni riempirono la stanza unite alle implorazioni di pietà. Ad un tratto si udì il telefono squillare.
« Porca puttana! Odio quando mi telefonano mentre mi sto divertendo. E la stronza di cameriera è pure qui e non può rispondere. Uffa, dovrò andarci io. » Disse Angela scocciatissima.
Si alzò e sorridendo al verme a terra gli rifilò l'ennesimo calcio di punta nelle costole.
« Non ti preoccupare che tanto torno subito. » disse, e si allontanò ridendo.
Angela risalì le scale velocemente e rispose al telefono.
« Le chiedo perdono Mistress Pain. Ho avuto un problema con la macchina, non è colpa mia. Mi scusi, mi scusi, mi scusi. » disse una voce implorante.
« Ma chi cazzo sei? » chiese Angela irritata da quella voce.
« Sono lo schiavo che doveva rapire oggi. Ho avuto un problema all'auto e ho ritardato ma le giuro che non potevo prevederlo. La supplico mi perdoni, mi dia una seconda possibilità. »
All'improvviso la verità colpì Angela come un macigno. Aveva rapito una persona inconsapevole, un emerito sconosciuto. E non solo lo aveva rapito ma lo aveva pure torturato brutalmente. “Cazzo, qui finisco in galera.” pensò preoccupata mentre attaccava il telefono in faccia al deficiente che l'aveva messa in quel casino. Cercò di rianalizzare la situazione e così fu colpita da una nuova folgorazione. Le vennero in mente i pestaggi e le torture a cui aveva sottoposto quel poveretto. Un innocente che non provava nessun piacere nel dolore e nell'umiliazione. Roba che avrebbe fatto scappare qualsiasi masochista volontario. L'orgasmo fu pressoché immediato. Un orgasmo potente, come mai ne aveva provati prima. Le gambe le cedettero e si dovette accasciare a terra. Mugolò roteando gli occhi all'indietro e presa da una frenesia incontenibile scostò il cavallo del body e iniziò a masturbarsi attraverso il collant. L'orgasmo fu vulcanico ed interminabile, dopodiché Angela restò stesa a terra, sfinita, ansimante. Le ci vollero diversi minuti prima di riprendersi. Il suo desiderio, la sua fantasia più estrema si era realizzata a sua insaputa. Aveva torturato un'innocente inerme che non aveva tratto nessun piacere da tutto quello che gli aveva fatto, ma solo dolore e terrore veri. Ripensandoci si sentì eccitare di nuovo. Ricominciò a toccarsi e in pochi minuti venne di nuovo con un secondo potente orgasmo. Quando riuscì a risollevarsi, nonostante le gambe che tremavano, cominciò seriamente a pensare al problema. Doveva trovare una soluzione se non voleva finire in galera per un numero di anni incredibilmente lungo. Cercò una via di fuga, ma per quanto si sforzasse non trovava un'idea che le risparmiasse un processo e la galera. Poi una strana idea le cominciò a balenare nella testa. Tutto sommato nessuno l'aveva vista rapire quell'uomo, di questo era sicura. Prima di abbordarlo per strada si era assicurata che non ci fosse nessuno. Inoltre l'incontro non era programmato e quindi nessuno poteva mettere lei e quell'uomo in relazione. Ecco la soluzione, farlo sparire del tutto e nessuno l'avrebbe mai individuata. Poi un venne colpita da un fulmine a ciel sereno. La zoccola! La sua cameriera l'aveva visto e poteva identificarlo e metterla in relazione con lui. Ma forse no, rifletté. Doveva verificare, forse non l'aveva potuto vedere bene, forse nemmeno l'aveva degnato di uno sguardo. Tornò di corsa nel seminterrato, volando nonostante i tacchi altissimi. Prima di rientrare si diede un contegno e, calma, aprì la porta. Si diresse immediatamente verso il tavolo, prese un cappuccio di pelle, un bavaglio e una mascherina, quindi si diresse verso il verme sconosciuto. Senza dire nulla gli cacciò sulla testa il cappuccio nascondendone il volto, quindi gli tappò la bocca cacciandogli dentro a forza il bavaglio fallico che allacciò ben stretto dietro la testa e gli mise la maschera sugli occhi coprendoli completamente. Completato il lavoro si alzò e ripensò al fatto che quello a terra era una vittima non volontaria che non provava nessun piacere in questi trattamenti. Sorrise di nuovo eccitata e iniziò ad affibbiargli una serie di poderosi calci. Sapere che stava pestando un uomo che provava solo dolore e nessun piacere la condusse di nuovo ad un orgasmo quasi immediato. In fondo era il suo sogno erotico da sempre e realizzarlo stava scatenando tutto il suo sadismo represso da anni e anni di limiti e safe-word. Appena si fu ripresa tornò dallo schiavo cameriera. Era ancora spossato dal trattamento ricevuto e cercava di rilassarsi sul cavalletto nonostante fosse tutt'altro che comodo. Angela lo prese per i capelli e gli sollevò la testa.
« Ora voglio fare un giochino nuovo, troietta. Voglio vedere se sei attenta ai gusti della tua Padrona. Lo vedi quello schiavo li, con il cappuccio? Ora dovrai descrivermi il suo volto nei minimi dettagli. Per ogni errore verrai frustata e ogni volta raddoppierò il numero delle frustate precedenti. Il primo errore ti costerà cinque frustate, poi dieci, poi venti, poi quaranta e così via. Dovrai dirmi di che colore ha gli occhi, i capelli, la forma del viso, delle labbra, del naso. Hai capito puttana? »
Angela sembrava fredda e dura come al solito, ma dentro di se era preoccupatissima che quella troia avesse visto bene il poveraccio sul pavimento. Tolse il bavaglio a dildo dalla bocca dello schiavo dal quale colò saliva a terra. Appena ebbe fatto lo schiavo tossì ripetutamente e appena poté iniziò ad implorare pietà.
« Mistress la prego, non sapere com'è quello schiavo, non lo so come è fatto. Io avevo lo sguardo sui suoi talloni mentre entravo qui, non l'ho mai guardato quello, come faccio a descriverlo? La supplico, mi frusterà a morte se mi sottopone a questa prova. Non posso farcela. »
Angela era al settimo cielo, sembrava proprio che la troia non avesse degnato di uno sguardo l'altro verme, era letteralmente terrorizzata. Comunque volle metterla alla prova.
« Non me ne fotte nulla, peggio per te se non l'hai guardato. Ora iniziamo dalle cose semplici. Colore dei capelli?»
« Non lo so Mistress, non lo so... La supplico mi perdoni. » implorò ancora lo schiavo.
« Non lo so “un cazzo”! Primo errore.» disse Angela che iniziò ad affibbiare le prime cinque frustate, lente, cadenzate, tremende.
Lo schiavo urlava con tutta la voce ma lei continuava imperterrita. Quando ebbe dato la quinta chiese di nuovo:
« Colore dei capelli? »
Sembrava una maestra severa. Lo schiavo singhiozzò e ripeté di non saperlo. Angela sempre più gongolante dentro di se riprese a frustare il poveraccio. Altre dieci frustate vennero inferte alla schiena dell'uomo a piena forza.
« Proviamo qualcosa d'altro allora. Colore degli occhi? »
Lo schiavo piangeva ora a dirotto.
« Non lo so Padrona, non l'ho guardato. La supplico mi lasci andare. »
Angela riprese a frustare felice come una pasqua. Altre venti frustate andarono a segno e la schiena dello schiavo ormai era tutto un intreccio di strisce rosse, molte delle quali sanguinanti.
« Aveva la barba? » chiese di nuovo Angela.
« Si, si... aveva la barba Padrona. » tirò ad indovinare lo schiavo in lacrime.
Questo errore finalmente diede la sicurezza ad Angela che lo schiavo non aveva proprio fatto nessun caso all'uomo a terra. Altrimenti non avrebbe mai sbagliato quella risposta. Ma per inquinare le acque chiese.
« Finalmente , bravo. E di che colore era la barba? »
« Nera. » tirò di nuovo a indovinare lo schiavo sperando di scamparla.
« Sbagliato! » Angela rise ormai rilassata stava godendosi il nuovo gioco.
Le quaranta frustate arrivarono sulla schiena dello schiavo inesorabili. Ne seguirono altre ottanta. Quando Angela iniziò le centosessanta successive lo schiavo cedette. Con un fil di voce pronunciò la safe-word. Era allo stremo, la schiena coperta di sangue, la gola riarsa dalle urla, gli occhi rigonfi per il pianto. Prima di fermarsi Angela gli diede ancora una decina di frustate. Non si fermava mai immediatamente alla safe-word, erano quelli i momenti più piacevoli del suo lavoro. Quando torturava gli schiavi oltre il limite della loro sopportazione. Quando era sicura che loro non provavano più nessun piacere. Smesso di frustarlo gli liberò mani e piedi e lo lasciò cadere a terra come un sacco di patate.
« Sei un buono a nulla schiavo. Non reggi nemmeno qualche frustatina. Vai di sopra, fatti una doccia e sparisci dalla mia vista. Non tornare domani, ti chiamerò io quando e se vorrò che tu torni. Sono stata chiara? »
Lo schiavo a terra rispose con un sibilo ed annuendo leggermente con la testa.
« Bravo. Ora vattene. »
Angela lo spronò con un calcio nel culo ben assestato, quindi lo guardò trascinarsi verso la porta. Lo seguì e quando fu uscito chiuse a chiave la pesante porta insonorizzata. Tornò lentamente verso il verme a terra. Si gustò la scena dei muscoli dell'uomo tendersi per la paura. Gli strappò via il cappuccio e lo guardò dall'alto incrociando le braccia.
« E così tu non sei quella merda di schiavo che dovevo rapire. Come ti chiami? »
Giovanni non rispose, cercava di capire cosa stava dicendo quella tigre che troneggiava su di lui e che lo terrorizzava. Angela gli sferrò un calcio nelle costole.
« Chi cazzo sei? Parla! »
« Mi chiamo Giovanni Bianchi, sono un semplice impiegato. Sono solo, nessuno può pagare un riscatto per me. La prego mi lasci andare. »
« Nessuno? Nessun parente o amico? »
Chiese Angela interessata.
« No signora. I miei sono morti e non ho altri parenti. Nessun amico che potrebbe o vorrebbe pagare per me. Non ha motivo di tenermi qui, mi lasci andare. Le giuro che non parlerò con la polizia. Non dirò nulla. »
Giovanni non credeva che le sue parole potessero funzionare, ma doveva provare. Sentiva l'esigenza fisica di tentare qualsiasi cosa per venire fuori da quell'inferno il cui unico diavolo aveva una faccia angelica dall'espressione perversa. Angela invece si sentiva euforica e scoppiò in una risata. Non solo non era stata vista, ma un uomo con pochi legami avrebbe scatenato meno putiferio che uno con famiglia. Non trovando nessun cadavere e senza motivazioni per pensare diversamente la gente e, sopratutto la polizia, avrebbe potuto anche pensare ad una scomparsa volontaria.
« Dove dovevi andare quando ti ho prelevato? »
« Avevo un appuntamento con una ragazza in un posto li vicino. »
“Cazzo, questo non va bene.” pensò Angela.
« State assieme? »
« No, era la prima volta che ci uscivo. »
Angela rifletté un attimo e le venne un'idea luminosa. Si allontanò e tornò poco dopo con il cellulare dell'uomo e la pistola che aveva usato durante il rapimento. Porse il telefono all'uomo. E gli puntò la pistola in faccia.
« Ora chiami la tua troietta e gli chiedi perdono. Poi le dici che hai deciso di sparire perché non sopporti più la vita che fai. Dovrai ripetere esattamente queste parole: perdonami se non sono venuto questa sera, ma ho deciso di abbandonare tutto perché la mia vita mi fa schifo. Poi riattacchi. Se dici qualcosa di diverso o provi a dire altro ti ammazzo li dove sei hai capito? »
« Si signora. »
Angela colpì l'uomo con un manrovescio armato di pistola spedendolo a terra con un labbro spaccato.
« D'ora in avanti mi devi chiamare Padrona. Ai capito stronzo? »
Un altro calcio sottolineò le parole appena pronunciate.
« Si Padrona. » balbettò l'uomo.
« Bene, ripeti quello che devi dire al telefono. »
Giovanni ripeté ma non usò le stesse identiche parole e pagò con un altro calcio.
« Cretino! Usa le mie parole. Ripeti! »
Intontito dal dolore e dal terrore Giovanni impiegò diversi tentativi per imparare la frase alla perfezione.
« Ora telefona. Ma ricordati, una parola sbagliata e sei morto. »
La pistola era innocua ma faceva il suo effetto e Giovanni eseguì il compito alla perfezione chiudendo poi il telefono in faccia ad una ragazza stupita e preoccupata dalle parole che aveva sentito. Angela prese quindi il telefono, gli tolse la batteria e lo distrusse sotto il tacco.
« Molto bene. Ora non ti cercherà più nessuno. Se non l'hai ancora capito sei appena diventato il mio primo vero schiavo. Nessuno ti libererà mai. Sarai mio per il resto della vita. Sarai il mio giocattolo, e io i giocattoli mi diverto a romperli. »
Una risata sadica accompagnò l'espressione basita, incredula dell'uomo.
« Quando mi sarò stancata di te potrò pure ucciderti perché nessuno si accorgerà che sarai sparito, perché tu sei già sparito. »
Un'altra risata sottolineò l'espressione ora terrorizzata di Giovanni. Quando Angela smise di ridere riprese a parlare.
« Non mi ricordo più come ti chiami, ma non importa. D'ora in poi ti chiamerò schiavo o verme o in qualsiasi altro modo mi verrà in mente. Tu dovrai ubbidire ad ogni ordine pena torture che ti faranno rimpiangere quelle di oggi. Che ti faranno rimpiangere di essere nato. Non temere, non ti ucciderò, o almeno non presto. Ma ti assicuro che dopo un po' pregerai che la fine arrivi presto. Non sai quanto mi divertirò con te. Ma tu dovrai sempre ringraziarmi, altrimenti sarà peggio. Ricordati, grato per le mie “attenzioni” o subirai l'inferno. »
Angela si avvicinò al viso dell'uomo da cui colavano lacrime silenziose.
« Vediamo se hai capito. Ringraziami per averti torturato così blandamente, per averti reso mio schiavo a vita e per le tue future giornate di pena e dolore. Dì grazie e baciami gli stivali. »
Giovanni ormai piegato si mise prono e baciò gli stivali della sua nuova Padrona.
« Grazie Padrona. »
« Prego schiavo. »
Angela prese manette e catene e le mise al suo primo vero schiavo “no limit”. Mentre lo legava pensava già a cosa gli avrebbe fatto e la fica gli si bagnò di nuovo di eccitazione. Quando lo schiavo fu completamente immobilizzato si sollevò, si voltò e andò verso la porta. Prima di chiudersela alle spalle si guardò Giovanni nella posizione assurda in cui lo aveva bloccato.
« Ti prometto che domani ci divertiremo tutto il giorno. Buona notte e incubi d'oro. »
Angela uscì e chiuse a chiave quella che ora era divenuta la nuova “casa” di Giovanni.


Fine?
Fatemi sapere se volete che questa storia continui :)


Maurizio Wylder


3 commenti:

  1. Violento ma non noioso. Continua

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  2. Ciao i tuoi racconti sono bellissimi, io quando ero giovane sono stato calpestato e masturbato a forza da alcune donne senza il mio consenso anzi.... mi masturbavano la maggior parte delle volte usando la suola delle loro scarpe. se ti può interessare sapere la mia storia scrivimi alla mia mail. fioravantegigolo@yahoo.it

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